Capitolo VIII
(trascrizione a
cura di Giovanni Lo Presti, Salvatore Salmeri e Massimo Tricamo)
Altra bomba
diede nel bastione di Santa Maria dentro la Cittadella e, crepata in esso,
nessun di quelli che si retrovavano fu offeso. Inoltre altre bombe, che furono
gettate nella parte inferiore della città, disfacendo altre case. In detto
giorno non cessò il disparo delli cannoni d’una parte e l’altra e, fra la
copiosa quantità delle bombe sparate, una entrò nel convento di San Domenico
senza alcun danno. E la notte pure si dispararono nelle trinciere molte e molte
focillate col gettito di più bombe e di pietre, perloché sempre resta alcuno
ucciso, oltre li feriti e molti stroppiati.
Arrivo di quattro disertori dal campo Spagnolo, i
quali danno notizia dell’ordine emesso dal viceré spagnolo a tutela dei
cittadini della Piana. Armistizio tra i due eserciti con lo scambio di alcuni
marinai Sul
Vespro vennero dal campo spagnuolo quattro desertori: asserirono esservi
espresso ordine di quel signor viceré di Spagna che in avvenire non si
disperdessero più l’effetti delli paesani nella Piana ed esservi molta abbondanza
di viveri. E susseguentemente doppo seguì l’armestizio tra li due eserciti nel
mezzo delli trinciere. Intervennero gli officiali deputati d’una parte e
l’altra: si discorse il cambio d’alcuni marinari. Qual finito ad ore ventidue,
si multiplicò il ribombo delli cannoni e disparo di bombe.
Guerra del 1718 in Italia per la successione di Spagna - I. e R. Istituto Geografico Militare in Vienna (contenuta in Campagne del principe Eugenio di Savoia / opera pubblicata dalla
Divisione storica militare dell'I. R. Archivio di guerra
[austro-ungarico] in base a documenti officiali e ad altre fonti
autentiche [fatta tradurre e stampare da sua maestà Umberto Primo Re
d'Italia] - Torino : Tip. L. Roux e C - vol. XVIII edito nel 1901: Guerre in Sicilia e in Corsica negli anni 1717-1720 e 1730-1732)
14 febbraio 1719
Sepoltura nella chiesa del Rosario di un tenente
austriaco
ucciso da una pietra nelle trincee. Bombardata la chiesa di S. Caterina, illesi i militari austriaci
che vi dimoravano. A 14 febraro. Si sepellì nella chiesa de’ Padri
Domenicani un tenente tudesco, qual restò ucciso nelle trinciere con una
pietra. Due palle di cannoni, una doppo l’altra, diedero nella chiesa di Santa
Caterina con averla sconquassata, restando illesi li soldati tedeschi, quali in
essa commoravano. E continuò per sempre il disparo de’ cannoni e bombe. E la
notte non cessarono le focillate in dette trinciere, seguendo sempre gravissimo
danno nelli poveri soldati, specialmente a quei che si retrovavano di
battuglia.
15 febbraio 1719
Tre disertori dell’esercito spagnolo, due spagnoli
ed un francese, affermano tra l’altro che le bombe lanciate sulle loro trincee
non provocano danni in quanto protette da spessi tavoloni. Quattro marinai
fuggono dallo stesso campo spagnolo con una piccola barca, ingannando il
capitano di guardia al quale avevano promesso una quota del pescato. Gli stessi
riferiscono che alcuni contadini uccidono militari allo scopo d’impedire
l’abbattimento dei propri alberi di ulivi A 15 febraro. La notte antecedente desertarono dal campo spagnuolo tre soldati,
due della medema nazione e l’altro francese. Tutti e tre affermarono che le
loro truppe non consequiscono nocumento alcuno dalle nostre bombe e cannoni,
per essere preservati da molti tavoloni ben grossi e con molto arteficio
adoprati. Come pure ritrovarsi quantità di qualsivoglia commestibile, solamente
esservi molti soldati infermi e seguir la morte d’alcuni di essi.
L’istessa notte
se ne fuggirono dal campo sudetto quattro paesani marinari con una barchetta,
nominati Tomaso Composto, Andrea Caravello, Giovanni Capone e Domenico
Cusimano, avendoli successo fortunata industria per non dire sagacità
premeditata. Poiché, presa detta barchetta alla ripa del mare vicino li molini
[mar di Levante, ove oggi sorge la
Raffineria, ndr], uscirono da quel lido con tutti l’ordigni di pescare -
lenze, ami, reti ed altri - colla licenza del capitano di guardia, che resideva
in quello scaro, adescato colla speme d’assaggiare parte del pesce che
s’avrebbe preso. E con tal inganno s’allontanarono dal lido. Ed osservando che
per il buio della notte non puotevano essere scoperti, velocemente si posero a
vogare verso questa città: e cossì gli sortì la stratagemma da più giorni fra
loro concertata.
Riferirono che
in detto campo esservi molta abbondanza di viveri ed a prezzi di baratto, il
vino a grana quattro per ogni quartuccio venduto nelle barche che da fuori il
condussero. Di più che, avendosi devastato l’alberi dalli soldati, servendosi
questi delli legna, tanto per fascine come per far la cocina e per mangiare,
s’avessero allontanato le truppe per le parti convicine della comarca per far
provisione di legna, tagliando l’olivare. Perloché restarono uccisi alcuni
soldati dalli villani per defender li loro effetti e beni stabili. Bensì
s’abbia processo nascostamente nell’uccisione sudetta, altrimenti - scoperti
l’uccisori - avrebbero sofferti gravissimi accidenti pure nella vita.
Continuano le cannonate d’ambo le parti senza
tregua, nemmeno durante la notte. Una bomba colpisce la casa del sacerdote
Saverio David
sita nel piano del Carmine, uccidendo e ferendo chi vi dimorava Non cessò il disparo delli cannoni e bombe d’ambe le parti. E nelle
trinciere si gettarono molte pietre, oltreché continuarono nella notte le
focillate a segno tale che rassembrava aversi dato assalto generale. E li
poveri cittadini nemeno nella notte potevano aver alcuno spazio di quiete, e
sempre stavano colla morte sugli occhi. Tra l’altre bombe gettate nella città,
che disfecero l’abitazioni delli cittadini al solito, una diede nella casa del
sacerdote Don Saverio David posta nel piano del Carmine, con aversi tutta
disfatta la casa: ed uccise una sua serva per averle rotto ambe le gambe,
restando pure ferito detto sacerdote assieme con sua madre ed altre persone che
seco commoravano. Vennero molti soldati feriti nelle trinciere, avendo restato
altri uccisi cossì per le bombe con pietre, come per colpi di schioppi
disparati.
16 febbraio 1719
Una bomba centra il piazzale della chiesa di S.
Maria
della Pietà, ove si trovavano soldati
austriaci ed italiani rimasti illesi. Altra bomba cade davanti la chiesa di S.
Maria la Catena. La chiesa della Pietà viene bombardata nuovamente sino alla
sua completa distruzione con tanto di saccheggio, causando il ferimento d’un
tenente del reggimento Saluzzo A 16 febraro. Oltre il disparo di molte
cannonate e di bombe d’una parte e l’altra, che continuarono dal mattino sin a
sera, una bomba diede nel piano della chiesa di Santa Maria della Pietà, vicina
e collaterale delle mura della città, attaccata alla porta di Messina. E
crepata in detto piano, qual era di molte truppe di soldati - e tudeschi ed
italiani di Piemonte e Savoia - per esservi corpo di guardia principale, tutti
li pezzi di detta bomba diedero in quel circuito senza danneggiare ad alcuno.
Altra bomba diede innanzi la porta maggiore della chiesa di Santa Maria la
Catena e, crepata in quel luogo ove si retrovavano molte persone paesane,
nessuna di esse fu colpita.
Una palla di
cannone entrò nella chiesa mentionata della Madonna della Pietà. E per aver
giorni passati entrato altre palle, con questa tutta la chiesa si precipitò. E
benché in essa residesse il corpo di guardia delle truppe di Piemonte e Savoia
con molti officiali ed un tenente del regimento di Salluzio nomato monsignor
Avellino, quale solamente restò ferito molto grave, dubitandosi della sua
salute. Il che, osservato da molti altri soldati, non avendosi alcun riguardo
nemeno all’onor della Madre di Dio, che in detta chiesa si venerava, di subito
assassinarono tutta la chiesa, togliendogli e tavole, e travi, e legnami,
discoprendola dell’intutto, con aver rimasto solo le mura benché disfatte.
Scoppia un’epidemia tra i cittadini ed i soldati a
causa delle pessime condizioni igieniche, cui conseguono numerosi decessi. Il
seppellimento (in diversi punti della città e dentro fosse poco profonde) dei
soldati deceduti per infermità o caduti in battaglia comporta gravi
problematiche igienico-sanitarie ed il proliferare dell’epidemia, costringendo
i comandanti ad ordinare lo scavo di fosse più profonde. Si stima il decesso di
ben 10.000 militari, tra austriaci ed italiani, a causa sia di epidemie che di
ferite e morti in combattimento. Si stima altresì la morte di circa 600
cittadini Continuavano
guagliardamente nella città molte febri maligne, cossì nelli paesani come nelle
truppe, con gettarsi dall’infermi quantità di vermini dalla bocca e correndo
quantità di parotide pestilenziali. Tanto che chi cadeva ammalato difficilmente
si guariva. E quei che superavano il morbo restavano per molto tempo
convalescenti e senza forze.
Apparendo
esservi con evidenza pratticata infezione d’aria, successa per le molte
immondizie in mezzo le strade ancorché principali. Ed inoltre per la mortalità
di molte persone, tanto che le fosse nelle chiese erano tutte piene di
cadaveri, arrivando a sepellirsi tra li paesani ed uomini e donne unitamente
per necessità in un medemo luogo. E nella chiesa de’ Padri Domenicani non
puotevano alcuni sepellirsi con esser remasti per mancanza di fossa.
Inoltre la
maggior parte, anzi tutti quei soldati che morivano o per infermità o per
essere stati uccisi per qualunque occasione, si solevano sepellire in mezzo la
città in luogo bensì remoto, sopra il monte, sotto le mura della Cittadella
fori la Porta del Capo, ed altri fori la città pochi passi. Ed il peggio era
che gli cadaveri erano riposti quasi sopra terra, facendosi alcune fosse di
poca profondità: perloché di molti appariva alcuna porzione e si disse, e si
vidde, che in molte parti avessero banchettato gli cani. Perloché facilmente
tanta putredine infettò l’aria. Perloché fu necessario dagli signori comandanti
darsi ordine che si facessero le fosse più profonde.
Come pure per
aversi quasi da tutti gli cittadini generalmente magnato il pane di malissima
qualità, con farine di luppini, orgi, grani d’India ed altri consimili, carni
salate di porco, pesci pure salati, vini salati, vini conciati, tutti di
malissima qualità.
Oltreché per il
continuo timore della morte, standosi con l’animi sospesi, colmi di molte e
diversi afflizioni, angoscie e dolori, facilmente si venia a corrompersi il
sangue, perloché si generarono morbi così maligni. E finalmente gli poveri
soldati - continuamente travagliando di giorno e notte al freddo ed all’acqua
senza quiete, e mangiando pane di pessima qualità, con un puoco di sale, e
bevendo acqua - per ogni maniera si dovevano generare nelli loro corpi simili
infermità così pudrite e maligne. Onde sino a quel tempo, giusto il calcolo
fatto, perirono delle truppe tedesche ed italiane con molti loro officiali,
tanto d’infermità di febre e di ferite, da diecimila, compresi gli uccisi nella
battaglia ed altri. E delli abitanti di questa da seicento nella città e nel
Capo.
Le scandalose prestazioni dei medici milazzesi in
tempi d’assedio. In città rimangono soltanto cinque medici, ritiratisi al Capo
per timore ad accezione di due operanti invece nel centro cittadino. Questi
ultimi - il sacerdote Francesco Nobile,
medico militare dei Piemontesi, ed il giovane Francesco Ragusa - lucrano sulle
visite agli infermi, pretendendo pagamenti esorbitanti anche da parte dei
poveri. Uno dei due favoriva un parente farmacista (aromatario) indirizzandovi
i pazienti Avendosi osservato che molti passarono
all’altra vita per mancanza di medicamenti, specialmente le truppe tudesche e
l’altre, poiché l’istesso puzzare della stanza, ove si ritrovavano affollate,
l’uccise. Anzi molto si patì nelli cittadini, specialmente non puotendo nemeno
un galantuomo infermo aver un medico per curarsi. La cagione fu che,
trattenendosi nella città cinque medici fisici, il sacerdote Don Francesco
Nobile, Don Giovanni Battista D’Amico, Don Francesco Zanghì, Don Francesco lo
Monaco, e Don Francesco Ragusa, e per le contingenze nella sudetta guerra (come
s’ha espressato), tolti quei di Nobile e Ragusa, gli altri s’avevano retirato
nel Capo. Il primo di questi due molto infermo abituale e l’altro assai
giovanetto. Ed entrambi due timorosi per il disparo delli cannoni e bombe,
colle quali molti restarono uccisi, tanto che non volevano dar un passo nella
città per medicare gli infermi. Bensì spesse volte, a preghiere degli amici,
facevano alla sfuggita alcune visite nella città dalla parte superiore nel
Borgo, Marina e Cittadella, con il pagamento molto pingue. Ma il Ragusa voleva
in ogni modo per ogni uscita nella parte inferiore tarì dodeci, che per due
volte il giorno erano al doppio; e nella parte di sopra almeno tarì sei per
visita.
Inoltre s’asserì
che il medemo, per far lucrare il sacerdote Don Giuseppe Galletti, aromatario,
non facea ricette né per le strade e nemeno
nelle case dell’infermi. Ma col pretesto che quello doveva ordinare non si
retrovava in altre speziarie che in quella del Galletti suo avo, tutti gli
infermi conduceva ove questo. Ed il peggio era che ordinava medicamenti
coll’assertione d’esser fatti a sua intenzione, né galenici né spargitrici. E
di più alcun altro medicamento che fosse stato di molto prezzo per guadagno
dell’avo. E che gli altri aromatarij avrebbero rappresentato le loro
giustificate ragioni agli superiori per darsi la providenza necessaria, se non
s’avesse stato in questo tempo con
tanti pericoli instantanei.
Il Nobile,
doppo, se un giorno si faceva a vedere, per molt’altri remaneva sequestrato in
casa o per la sua infermità o per il grave timore: e cossì come si potevano
guarire gli poveri infermi? E ciò nonostante, allettati entrambi dal lucro,
molto si provecciarono, magiormente per
esser il Nobile medico ordinario dell’ospedale di tutti gli Piemontesi e
Savoiardi, con grosso salario il giorno. Il che si verificò specialmente dal
Ragusa, il quale avendo andato in casa d’una povera paesana, ove era infermo un
marinaro napolitano, per tre sole visite volse diecesette tarì. E chiamato nel
passaggio per osservar una poveretta nominata Domenica Giordano ed Imbiddi,
inferma giacente in un pagliaccio dentro un casaleno senza tetto, solo coperto
in un angolo per essere stato dirupata la casa (che prima esisteva) dalli
soldati, volse tarì sei, con tutto che fosse stata la povera donnicciola con
quattro figlie minori e vedova, per esserli stato Fortunato Giordano - suo
marito - ucciso nella presente guerra d’un calabrese nominato Alessio [segue lacuna nella copia, ndr] per controversia di pochi grani richiesti dal sudetto
per il suo travaglio, e la povera avesse stato giornalmente questuando
l’elemosina colle figliuole nelle chiese. Tutto ciò si sussurrò in città puol
essere impostura de’ suoi emoli. [Al
margine del manoscritto viene
riportata la seguente raccomandazione, ndr: Sarebbe bene togliersi la
diceria contro li fisici, con tutto che fosse la verità, poiché si deve aver
riguardo che alle volte il vero noce propalandosi]
Anche gli altri tre medici rifugiatisi al Capo
lucrano sulle visite, pretendendo due tarì al giorno anche dai poveri. Mentre
prima dell’Assedio percepivano ordinariamente un solo tarì al giorno, col quale
eseguivano una visita mattutina ed una serale. E non manca tra loro chi
favorisce l’aromatario di fiducia L’altri tre medici che erano nel Capo,
addottrinati dalli primi due medici e per lucrarsi, pure medicavano, volendo da
qualunque plebeo - ancorché povero che viveva col solo braccio - tarì due il
giorno. Del che si potea far
congiuntura per quei che erano d’altra condizione, il che rassembrava
insoffribile. Solamente quello D’Amico, venuto in città un puoco infermo, non
attendeva a visitare gli infermi, commorando nella Marina da dove non molto si
dippartava per il timore e spavento delle cannonate e bombe, perloché molto fu
differente dall’altri. Soggiungendosi che retirato il Zanghì dal Capo, s’unì
col Ragusa, che non s’andasse a medicare gli infermi se non se li dava la paga
esorbitante, coll’assertione che prevaleva il timore della morte che gli poteva
in ogni momento sovravenire camminando per le strade. Alla più grossa paga che
se li contribuiva per far la visita all’infermi. E tutti non si raccordavano.
Che, pria, ogni qualunque infermo non pagava al medico più di tarì uno al
giorno con ricever due visite mattina e sera, il che era l’ordinario pagamento
sempre stilato. Di più si vociferò che se il Ragusa con molte invenzioni
pretendeva che l’avo si provecciasse, esclusi gli altri aromatarij, il Zanghì
voleva che li medicamenti da esso ordinati s’avessero preso nella speziaria da
esso determinata, o per inchinazione o per affezione, o - come alli mali
intenzionati sembra più adeguato - per provecciarsi tutte due. Per onde si può
facilmente presupponere con qual cura si governava gli infermi, essendo nel
fervore della guerra.
Decessi di numerosi soldati a causa di servizi
sanitari inadeguati ed insufficienti Oltre li sudetti fisici non esisteva in
città alcun altro per guarire così innumerabili truppe, avendo solamente queste
per ogni reggimento il suo chirurgo. Quali tutti condussero da Napoli e
Calabria alcuni medicamenti composti, specialmente quei attinenti alla
chirurgia. E così gli poveri infermi soldati tedeschi e febricitanti dovevano
perire. Di più li sudetti nostri fisici, volendo attendere alla cura di tanti
infermi così cittadini come esteri, nemeno potevano dar picciola sodisfazione,
poiché da principio due assistevano in città e comparevano poche volte ed il Nobile
in ogni modo era tenuto visitare l’ospedale delli soldati nella Matrice (per
ordinario più di duecento, oltre la sua infermità e timitidà) e l’altro di
Ragusa circondando tutta la città: e cossì qual metodo si poteva ritrovare
nella infermità?
Farmaci somministrati dai tre medici fisici tornati
dal Capo e dai chirurgi in servizio presso ciascun reggimento Doppo, retornati
l’altri tre dal Capo, quello D’Amico sempre si fermò in casa, nemeno volse
andar a guarire li congionti stretti. E l’altri due del Monaco e Zanghì non
potevano assistere, e l’infermi erano molti e molti. Onde per curiosità
s’osservò che nelle loro ordinazioni altro non esercitano per trattenimento
(tolto quello d’Amico, qual realmente non attendeva a medicare) che lingua di
San Paolo e nitro stibiato dentro un puoco di sciruppo di papavero o portulaca.
E perché
nell’epidemia pure concorsero alcuni morbi di dissenteria aggiungevano il
corallo rosso, terra sigillata e corno di cervo preparati e mai pratticarono né
cordiali, ne elettuarij e polveri gemmate, né sudoriferi, né vessicanti, né
opiati, nemeno purganti, tanto che da essi mai si fece alcuna esperienza.
Almeno li chirurghi delle truppe s’adopravano a viva forza dispensare agli loro
infermi molto farmaci, cordiali, sodoriferi, opiati, vessicanti ed altri
proporzionati agli morbi. Infine quello d’Amico, nel tempo che azzardò con più
franchiggia a medicare, dispensava gli medicamenti col metodo conveniente al
morbo che occorreva.
17 febbraio 1719
Partenza per Napoli del barone Graveuthech.
Sospensione inaspettata dei bombardamenti durata circa tre ore. A 17 febraro. Determinò il signor Baron de
Graveuthech, generale del reggimento di Parrauth, di partire per Napoli per
aver imbarcato tutto il suo bagaglio. Alcuni dissero per d[i]ssapori con altri
officiali tedeschi, altri per urgenze necessarie al servizio reale ed altri per
genio proprio. In questo giorno s’ottenne alcuna triegua nel disparo dei
cannoni e gettito di bombe per ore tre in circa, il che s’attribuì ad un
portento, non avendosi possuto penetrare il motivo d’onde avesse derivato
questa tranquillità nelli poveri cittadini.
Si tiene il consiglio di guerra per quattro soldati
austriaci che tentarono di fuggire verso il campo spagnolo: vengono condannati
a morte, ma solo uno sale sul patibolo; gli altri tre vengono graziati e
destinati a lavorare nei punti più esposti delle trincee Il giorno
antecedente pretesero quattro soldati tedeschi passar nel campo spagnuolo colla
fuga. Si scoperse il loro trattato ed in questo giorno si tenne consiglio di
guerra. Furono tutti condannati alla morte, bensì contro uno solamente
s’esercitò il patibolo mortale; e l’altri tre per grazia furono condannati al
continuo travaglio per un mese nelle trinciere in luogo molto esposto - al
pericolo della vita in ogni momento - al disparo de’ schioppi delli nemici.
18 febbraio 1719
Il priore domenicano Fra Pietro Martire Iaci, nella
Piana dal mese di ottobre per le vendemmie, riferisce al generale Zumjungen di
essere sbarcato al Capo la notte precedente, insieme al contadino Domenico
Maiorana, da una barca di alcuni marinai di Lipari, allo scopo di raggiungere
il suo convento di Montalbano dopo aver fatto però ritorno al campo spagnolo.
La versione non convince i comandi austro-piemontesi: sospettato d’essere una
spia, viene imprigionato al Castello assieme al Maiorana A 18 febraro. Comparì ben mattino in città il Padre
lettore fra Pietro Martire Iaci, domenicano Priore in questo suo convento, per
far la presentata innanzi il signor generale Zumjunghen, comandante. Per essere
stato detto padre nella Piana dal mese ottobre scorso col permesso scritto dal
signor Missegla, comandante, per vendemiarsi le vigne, assieme con altri due
fratelli. E toltasi la communicazione coll’assedio, arrestato dal quel tempo nel
campo spagnuolo. Riferì al signor generale sudetto, colla presenza del signor
Missegla comandante nella Piazza, aver la notte antecedente disbarcato nel Capo
di questa città, nella ripa di sotto la chiesa della Santissima Trinità,
unitamente con Domenico Maiorana, villano di questa, quale ancora si ritrovava
in detta Piana dal tempo della vendemia. Condotto in detto scaro con una barca
d’alcuni marinari di Lipari, col regalo d’alcune doble d’oro di lasciarlo in
detto luogo. E doppo retornarsene nella Marina, ove resideva detto campo [spagnolo, ndr], avendo motivato in
quello che voleva trasferirsi in Mont’Albano nel suo convento. E non puotè più
innanzi ottener l’intento, che in detta notte e che, disbarcatosi col Maiorana,
gli marinari con la detta barca se ne retornarono.
Intese il signor
comandante la relazione del Padre con quella del villano, qual si rese
uniforme, e non ricevette sodisfazione adeguata, rassembrandoli falsa
l’attestazione. Nondimeno rimesse il negozio al signor Missegla, come più
prattico in città da più tempo. Il quale, reflettendo la venuta del Padre nella
Piazza - cogli nemici di nottetempo e
furtivamente - puoter essere di qualche conseguenza e molto pregiudiziale al
servizio reale, per politica di Stato ordinò che il Padre assieme col Maiorana,
villano, fossero trattenuti in carceri nel Regio Castello, separati e serrati,
anzi colle guardie presenti ed a vista, sequestrati da qualunque persona.
La venuta di
questo Padre apportò e fece grandissima impressione così al signor generale
tedesco, come al signor comandante Missegla, che forse fosse stato inviato
dalli Spagnuoli per spia. Tanto che nell’istante si diede ordine che nello
scaro sudetto di sotto la Trinità, ed altre parti convicine, stassero molti
soldati e di giorno e di notte colla premorosa guardia. E dupplicata,
assistendo pure continuamente un capitano tedesco per capo.
Allo scopo di strappargli una confessione, il
religioso viene minacciato con l’esilio Si disse che detto Padre Iaci s’avesse
molto imbrogliato nel racconto della sua fugiasca partenza. E con tutto che
s’avesse conosciuto la sua ignoranza, nondimeno fu necessario in simile
successo starsi con molta attenzione, per aversi spesse volte fatto simili
tentativi dagli nemici in tempo di guerra. Inoltre si publicò che al Padre, per
esplorarsi il vero, l’avrebbero dato la corda e di più che sarebbe stato
rimesso in Napoli esiliato. E benché s’avessero dato più memoriali al signor
comandante per liberarsi il Padre, non comparì provista alcuna. S’ottenne bensì
- trascorsi alcuni giorni - dal signor Missegla che puotesse stare detto Padre
nella stanza, ove era trattenuto, colla porta aperta e colla communicazione di
parlar palesamente cogli soldati e trattenuti in detto Castello. E ciò
nonostante, non avendo riguardo a tal agevolezza, volse discorrere con alcuni
marinari liparoti, che erano prigionieri. E di più richiese al capo della
guardia che li procurasse un calamaro per scrivere. Il tutto riferitosi al
signor comandante Missegla, questo ebbe più motivi di sospezione, perloché
ordinò che si serrasse la porta della stanza, con aversi più custodia di prima
del detto Padre. Avendolo trattenuto in carceri serrato per più tempo, sino che
fu scarcerato come si dirà in appresso.
Considerazioni del Barca, il quale afferma che se il
Priore Iaci avesse raccontato la verità,
confessando di essere stato trasportato a bordo della barca di padron Federigo, piuttosto che dai suddetti marinai di Lipari, avrebbe goduto
di un trattamento di gran lunga meno duro del carcere Che il Padre Iaci
havesse sofferto cossì gravi afflizioni col pericolo di provarne de’ maggiori,
ciò processe per la sua propria melensaggine. Poiché in azzioni di molta
conseguenza sempre s’ha sperimentato, specialmente in casi toccanti alla
politica di Stato, che confessandosi il vero, ancorché fosse alquanto
pregiudiziale al confitente, li recarebbe meno nocumento. Ed allora che volendo
demostrarsi sagace col falso, si scuoprirsi esser bugiardo. Poiché si ricerca
una esquisita prudenza nell’invenzione d’un successo imaginario e non
sussistente, non puotendosi ciò attestare nel detto Padre, poiché mai
s’esercitò in consimili trattati. Inoltre se s’avesse consultato con persone
perspicaci, forse non avrebbe inciampato nell’errore che pratticò per la sua
dapocaggine. Doveva lui schiettamente confessare innanzi al signor generale
comandante essere stato condotto sopra una barca del Padron Giuseppe Maria
Federigo, paesano di questa città, qual si retrovava con detta sua barca nella
Marina di Ponente vicino al campo. Ed in un’ora valicò sin allo scaro di sotto
il monte della Trinità e disbarcò col Maiorana: la barca se ne retornò dove
avea partito, come realmente sortì, e non inventar essere stato trasportato da
Liparoti, onde giustamente patì.
Durante la notte gravi scontri causano la morte di
molti soldati nelle trincee, seppelliti in prossimità delle stesse trincee (a
differenza degli ufficiali sepolti nelle chiese). Di tali decessi non viene
reso noto il numero al fine di non intimorire le truppe. La notte trascorsa
fu molta la batteria d’una parte all’altra tanto di cannoni, come di bombe. Col
disparo di quantità di schioppi nelle trinciere, restando molti soldati uccisi
ed alcuni feriti. Non avendosi saputo il numero, perché li morti si sepellirono
ivi vicino senza condursi in città, per non intimorirsi gli soldati remasti;
tolto gli offiziali, li quali per convenienza si trasportarono nelle chiese,
facendosi l’essequie con alcun decoro.
Una palla di cannone colpisce la casa di Teresa
Monforte e ferisce al naso mastro Antonino Caragliano, intento a radere il sacerdote Don Saverio
Nastasi. In detto giorno ben mattino pervenne una palla di cannone
disparata nel forte della Tonnara sino all’Ospidale nella Marina, in casa di
Teresa Monforte, vedova del fu Alberto di Napoli. Perforò il primo muro e,
passando l’altro, una pietra del medemo muro ferì a maestro Antonino Caragliano
nel naso, il quale stava levando la barba al sacerdote Don Saverio Nastasi. E
fu un portento non aver sortito altro danno, essendo la casa (benché angusta)
piena di molti paesani.
19 febbraio 1719
Un disertore spagnolo racconta, tra tante bugie, che
gli Spagnoli stanno per assaltare la città. Si discute in consiglio la causa
del domenicano Padre Iaci A 19 febraro.
Venne un desertore spagnuolo dal campo. Racconta molte bugie. Tra l’altre,
che gli Spagnuoli stanno provisti in tutto per darsi l’assalto alla città.
Si discorse in
consiglio la causa del referito Padre Iaci, domenicano. Ma per quello che si
puoté penetrare, si publicò che nell’instante
che esso venne colla barca in questa città (come si disse) fu del tutto
raguagliato il signor comandante Missegla, non per agevolarlo colla
liberazione, ma per discreditarlo nell’azzione fatta. Per certo che l’emulazione
derivò nel suo proprio convento si rimette al vero.
Lo Zumjungen dispone, insieme agli altri generali ed
ufficiali, che tutte le truppe vengano condotte nelle trincee a causa del
timore di un assalto nemico, in conformità a quanto riferito dai disertori. Ma
anche perché durante il Carnevale i soldati delle truppe imperiali sono soliti
alzare il gomito: tenendoli impegnati non si rischierà dunque di farli
ubriacare, abbassando conseguentemente la guardia. Dal Vespro sino
la sera dal signor generale Zumiunghen - assistito dalli altri signori generali
ed officiali, assieme dal signor comandante Missegla - s’attese a farsi molte
prevenzioni militari. E sul tardi tutte le truppe tudesche ed italiane - cossì
di cavalleria, come di fanteria - tutte squadronate, si condussero nelle
trinciere, avendo solamente remasto li posti guerniti in città. [Ciò] per il
timore che dalli Spagnuoli non si desse l’assalto generale, col motivo che più
desertori l’abbiano confermato. Ed inoltre per la presupposizione che li
tedeschi nell’ultimi giorni di Carnevale sogliono bevere molto vino: e così
facilmente s’avrebbero ritrovato fori di sensi e storditi.
20 febbraio 1719
Il temuto assalto non si verifica, ma si susseguono
bombardamenti e colpi di fucile che provocano la morte ed il ferimento di molti
militari. Una bomba colpisce il chiostro del convento di San Domenico,
costruito impiegando pietra pomice 20 febraro. In questo giorno non seguì l’assalto, come infallibilmente si
presupponeva. Bensì sieguirono molte bombe nella città e pietre nelle
trinciere. Oltre il disparo di migliara di scopettate in esse e delli cannoni
nella città, succedendo sempre mortalità di soldati con altri feriti. Tra
l’altre bombe, una diede nella parte superiore del claustro del convento di San
Domenico: e solamente fece nell’astrico un grande buco, avendo crepato
senz’alcun danno. Ciò seguì per causa che detto claustro è ben fatto di pomici,
se non fosse stato per miracolo della Madre di Dio del Rosario.
Due disertori spagnoli di Maiorca giungono a nuoto nudi, riferendo che nel
loro campo - ben fornito di viveri - si pensava ad attaccare Porta Messina. Non
si arruolano nelle truppe austro-piemontesi, ma preferiscono andare a Napoli La
notte precedente vennero due desertori spagnuoli maiorchini per mare a nuoto,
tutti ignudi, avendo fatto miglio uno e mezzo nell’acque. Riferirono solamente
ritrovarsi nel campo ogni sorte di viveri. E richiesti se volevano prender
partito, ricusarono. E vogliono retirarsi in Napoli, ove avrebbero fatto la
determinazione a loro talento. Di più affermarono che li Spagnuoli pretendevano
battere la città dalla parte ove esiste la Porta di Messina e d’impossessarsi
di essa.
Fu così
guagliardo il disparo delle scopettate nelle trinciere nella notte che restò
ucciso un soldato. E 19 altri feriti con pericolo della vita.
21 febbraio 1719
Il vascello S.
Leopoldo ed una tartana - carichi di prigionieri e provenienti da Napoli -
approdano al Capo 21
febraro. La notte passata approdò
nel Capo la nave San Leopoldo con una tartana partite da Napoli, che
conducevano li prigionieri. Nelli quali vi erano venti Spagnuoli e pure due
signore dame, una moglie d’un sargento maggiore e l’altra d’un capitano. [Ciò]
ad effetto di farsi il cambio. E dette dame furono fatte prigioniere con altri
nel Faro di Messina, da dove furono trasportate in Napoli.
Continuano i bombardamenti d’ambo le parti. Nelle
trincee tre soldati rimangono uccisi ed otto gravemente feriti, tutti a causa
dei mortai petrieri Vi
furono, oltre il disparo di cannoni, molte bombe d’una parte e l’altra. E di
più nelle trinciere si dispararono molti mortari di pietre, perloché tre
soldati restarono uccisi ed otto malamente feriti. E le bombe disparate in
città creparono in aria senza danno di persone.
Armistizio per consentire lo scambio dei
prigionieri. Il sacerdote Tommaso Terranova ed il fratello Ottavio consegnano
al comandante Missegla una lettera con del denaro al fine di farla recapitare
alla cugina Teresa Colonna. Terminato l’armistizio riprendono i bombardamenti. Il tenente piemontese conte La Torre, di
pattuglia con alcuni soldati, viene catturato e quindi spogliato della divisa
da un soldato spagnolo che la indossa per disertare il proprio campo Ad ore sedeci in questo giorno seguì
l’armistizio per causa del cambio delli soldati d’una e l’altra parte, partendo
dal Capo una tartana con molte barchette cariche d’officiali spagnuoli e
soldati al numero di 200. Ed essendo vicino la ripa verso il molino del
convento di San Francesco di Paola, uscirono da detta ripa altre barche
piccole, sopra delle quali imbarcarono detti spagnuoli che erano sopra la detta
tartana e l’altre barche.
Perloché molti
paesani che erano sopra dette barche parlarono con molt’altri compatrioti,
quali residevano in detto campo [spagnolo,
ndr], tra l’altri vi fu il sacerdote Don Tomaso Terranova con suo fratello
signor Ottavio, quali diedero una lettera al signor comandante Missegla con
quattro doble per farle capitare alla signora Donna Teresa Colonna, loro
coggina.
E si stavano
aspettando da Messina gli prigionieri tedeschi e di Piemonte e savoiardi, per
farli capitare in questa città secondo il cambio concertato. Finito la sera al
tardi (retornati gli spagnuoli prigionieri al campo) l’armestizio, principiò
guagliardamente il disparo de’ cannoni con bombe e la notte non cessarono gli
mortari di pietre, con quantità di scopettate nelle trinciere. E ritrovandosi
di guardia in esse il signor conte La Torre, tenente piemontese, con altri
soldati, facendosi una battuglia, restarono esso tenente con tre soldati
prigionieri per essere stati assaltati dagli spagnuoli. E spogliato il tenente
dalli vestimenti d’un soldato spagnuolo, allorché seguì la sua prigionia, il
medemo nell’istesso tempo desertò dal campo sudetto, con aversi conferito nella
città con li vesti del tenente. Bensì, il giorno seguente, fu il conte cambiato
e la medema notte fu ucciso un soldato in dette trinciere, con aver restato
altri undeci feriti in dette trinciere.
Il Marelli, comandante del Castello a Mare di
Palermo, dopo la conquista della fortezza da parte degli Spagnoli, viene
processato a Siracusa e fucilato pubblicamente. Stessa sorte tocca al capitano
Baratti, anch’esso di servizio in quel Castello. Così come il capitano
Ventimiglia, degradato ed imprigionato, ed il capitano d’artiglieria La Vigna,
esiliato
Venne notizia veridica che Monsù Marelli, il quale era comandante di Castello a
Mare in Palermo, allorché li Spagnuoli l’assaltarono colla conquista di esso,
fosse stato processato in Siragosa per la resa seguita del detto castello senza
aversi fatto breccia alcuna. Con esser condennato nella vita, tanto che morì
passato publicamente per l’armi. Come pure monsignor Baratti, qual era capitano
in detto castello, conseguì la medema pena. Il capitan Ventimiglia con
monsignor la Vigna, capitano d’artegliaria, che furono uniti nel castello
sudetto, pure furono puniti, il primo con esser degradato dal posto colla
condanna di più di quattro mesi di carceri, il secondo privato del suo posto con
l’elisio perpetuo delli stati del Re Vittorio Amedeo. Avendosi fatto tal
condanna d’ordine del vicerè Maffei nella città di Siragosa, ove resideva. E
benchè non avessi mai preteso di raguagliare altri accidenti della presente
guerra, solo quei che successero in questa città, nondimeno notai il presente, poiché dalla resa di quel castello
principiarono l’afflizioni che si patirono da questi cittadini, colla perdita
d’alcuni nella vita, e delli proprij beni da tutti generalmente.
22 febbraio 1719
Soldato spagnolo diserta dal campo e riferisce che
l’esercito spagnolo intende assaltare la città. 22 febraro.
Desertò dal campo nemico un soldato spagnuolo. Disse che si pretendeva
assaltare la città dal suo esercito affinché si conseguisse la vittoria,
ancorché colla perdita della maggior parte di esso. Il sudetto desertore molto
patì nella fuga per essere stato discoperto. E molte volte pericolò la vita per
la quantità delle scopettate che li furono disparate, sino che pervenne in
città. E rassembrava un cadavere per il timore e spavento avuto. Ma per fortuna
restò illeso senz’alcun danno. Non volse prender partito, asserendo aver
intenzione di passar in Napoli.
Bomba esplode davanti alla chiesa di Santa Caterina
senza provocare vittime e danni Tra
l’altre bombe gettate in città, una crepò innanzi la chiesa di Santa
Caterina. E con tutto che vi fosse copiosa quantità di persone cittadine e
soldati tudeschi ed italiani, e di napolitani e calabresi che vendevano molti
viveri, non seguì danno alcuno.
Si precipita una delle facciate di Palazzo Baeli,
colpito varie volte da bombe e cannonate. Soldati morti e feriti a causa dei
bombardamenti a tale palazzo in cui erano acquartierati. Una bomba colpisce la
casamatta costruita all’interno dello stesso palazzo dal generale austriaco Ros
per meglio tutelarsi dalle artiglierie nemiche Da più tempo
che il palazzo grande nominato di Baeli nel piano del Carmine è stato rovinato
per la quantità di bombe e cannoni disparati dalli fortini delli Spagnuoli,
cossì d’innanzi di Levante come da parte da dietro di Ponente, con avere
restato molti soldati uccisi ed altri feriti per essere stato quartiero di
essi. E tutta la facciata che è nella parte di Scilocco e Libeccio del detto
palazzo è precipitata al suolo. E benché nel medemo pure abitasse il signor
generale Ros, tudesco eretico, con aversi fatto una casamatta dalla parte di
tramontana per non patir alcun accidente, pure una bomba venne sopra detta
casamatta e molti pezzi di essa penetrarono sino al suolo nella camera ove
stanzava il signor generale sudetto. E per sua fortuna si retrovò fora di essa,
altrimenti avrebbe patito alcun sinistro incontro. Forse per essere molto
elemosiniero (benché eretico) Dio volse preservarlo per redursi alla nostra
catolica fede.
Una bomba centra la casa del sacerdote Giuseppe
Galletti mentre pranza con la famiglia. Tutti rimangono miracolosamente illesi
malgrado la distruzione della casa Altra bomba a mezzogiorno diede nella casa del sacerdote Don Giuseppe
Galletti, nel quartiero della Marina, in tempo che si ritrovava magnando con
tutta la famiglia. E crepata in casa, con averla tutta fracassata, nessuna
persona conseguì alcun danno. Il che s’attribuì a grande portento di remaner
tutti illesi, e la casa disfatta.
Cinque soldati spagnoli disertano il campo, ma la
loro fuga viene intercettata S’intese una batteria di schioppi nelle trinciere delli Spagnuoli ed
osservatasi la causa si vidde che desertarono dal campo nemico cinque soldati,
li quali furono scoperti nella fuga. Perloché si dispararono le scopettate.
Tanto che remasto uno dei detti soldati in mezzo delle trinciere d’ambe le
parti ucciso, gli altri vennero in questa molto spaventati; e due di loro
feriti.
Dal qual motivo
non cessò il fuoco delli cannoni col gettito di più bombe contro la città sino
la sera, col danno di più e più case demolite. E pure tutti li bastioni di
questa fecero l’istesso contro il nemico, avendo rimasto uccisi più e più
soldati con altri feriti nelle trinciere, specialmente colle pietre gettate e palle
di scopettate nella notte.
Due soldati milanesi fuggono dal campo spagnolo,
annunciando l’arrivo imminente d’un battaglione Con tutto il
bisbiglio d’ambe parti, per sì grave fuoco fatto, azzardarono altri due soldati
milanesi, fuggendo dal campo spagnuolo in questa città senz’alcun danno.
Riferirono che era partito un battaglione per conferirsi nel campo spagnuolo,
parte per terra e parte per mare. Bensì il bagaglio retornò per terra per
timore di non esserli preso.
23 febbraio 1719
Il conte La Torre oggetto di scambio di prigionieri.
Ma uno dei tre soldati catturati assieme a lui si arruola nell’esercito
spagnolo
23 febraro Quest’oggi monsignor La
Torre, qual rimase prigioniero con tre soldati il giorno passato (come si
scrisse), fu cambiato. Raccontò che, delli tre soldati con esso presi, uno fu
ucciso mentre seguiva la prigionia, volendosi defendere, altro prese partito
nelli Spagnuoli e l’altro col medemo tenente cambiato.
Quindici marinai fuggono con un battello dal campo
spagnolo. All’alba giungono in città e vengono arrestati. Rilasciati dopo due
ore, riferiscono che nel campo c’è abbondanza di viveri e gran numero
d’infermi.
Con un battello dalla ripa del mare, ove resideva il campo Spagnuolo, se ne
fuggirono la notte scorsa quindeci marinari di questa città. Et all’alba si
conferirono in questa. La magior parte delli quali avevano da più tempo
navigato sopra una tartana del signor Don Fiderico Lucifero, lasciata in
Messina col padrone di essa nomato padron Giuseppe di Napoli [e] con altri due
marinari. E l’altri, venuti per terra in detto campo, procurarono retirarsi
nella Patria, avendo conseguito l’intento la sudetta notte, nomandosi sudetti
marinari che si retirarono Antonino di Pascale [segue lacuna nella copia, ndr]. Furono tutti posti in prigione.
Doppo, subito trascorse ore due nel medemo giorno, furono liberati. Riferirono
esservi nel campo grandissima abbondanza di viveri e retrovarsi molti infermi
nel campo [stesso].
A bordo di una tartana vengono trasferiti in Calabria
i religiosi trattenuti nel convento di S. Domenico per ordine del generale
Zumjungen.
Fu speciale il fuoco delli cannoni colle bombe disparate dalli spagnuoli dal
mattino sino la sera. Altretanto seguì nelli nostri bastioni. Si credette
esservi stata disfida tra l’eserciti per chi avesse possuto dispararne più,
poiché continuamente non s’attese ad altro. Tanto che poche strade nonché case
restarono senza provarne. E la notte pure continuò il disparo di quantità di
schioppi nelle trinciere, col gettito di molte pietre, onde restarono alcuni
soldati morti ed altri feriti; ed altri stroppiati di malissima maniera. E la
sera del medemo giorno furono imbarcati e condotti in Calabria sopra una
tartana il Padre Predicatore Generale Domenicano, con li due giovani del medemo
ordine, come pure il Padre Cappuccino col suo fratello, che erano trattenuti
nel convento di San Domenico d’ordine del signor generale Zumiunghen,
comandante tudesco (come si descrisse). E non si poté penetrare la causa.
Per certo che la
ragione di Stato, specialmente in tempo di guerra, s’esercita con ogni
riguardo. E spesse volte s’osserva procedere molto differente da quello che
s’attende. Poiché per il più molti delinquenti non sono puniti ed alcuni
innocenti castigati per sola politica di Stato. E ciò si stima necessario,
altrimenti non persisterebbero gli dominij. Solo si può affermare che li
sudetti religiosi erano di molta esemplarità: se poscia s’avesse penetrato cosa
in contrario per li sudetti, si rimetta a chi comandava.
24 febbraio 1719
Due milazzesi fuggono a nuoto dal campo spagnolo,
riferendo la notevole mortalità di quei militari 24 febraro. La
notte precedente, non comparsa l’alba, arrischiarono Padron Antonino
Buccafusca, alias Capitanello, ed
Orazio Pitretta fuggirsene dal campo spagnuolo in questa città, avendo venuto
dalla ripa del mare dalla parte di scilocco a nuoto per mare. E benché fossero
stati con molto spavento e timore, valicando nell’onde molto spazio di tempo
per aver fatto da miglio uno e mezzo sempre nell’acque, nondimeno s’intesero
consolati per aver retornato nella Patria. Poiché da più mesi erano stati
sequestrati nella Piana seguito l’imbrocco dalli Spagnuoli. Riferirono questi
che nel campo vi era grandissima mortalità di soldati, correndo gravissime
infermità.
Il vento
impetuoso provoca l’abbattimento di alcuni fabbricati, soprattutto di quelli
sprovvisti di tetto prelevato in precedenza dalle truppe austro-piemontesi Occorse la
notte istessa un vento da libeccio a Ponente così gagliardo che si credeva
infallibilmente di precipitarsi tutte le case in città, non puotendosi star
sicuro nelle stanze più remote, nonché darsi un passo nelle strade per timore
di non puotersi nemeno star in piedi o non restar acciecato per la povere che
andava per l’aria, o trucidato di alcuna pietra o mattone che cadevano da dette
case. E con tutto che avesse seguito l’acqua, che mitigò un puoco il vento
furioso, nondimeno continuò questo per tutta la notte seguente. E la sera del
medemo giorno cadettero sin al suolo più case nella Cittadella, specialmente
quella solerata del signor Don Francesco Martines sopra la Porta di Santa
Maria, tutta di calce e rena, nella quale restarono morti ed uccisi cinque
soldati tudeschi ed uno ferito, li quali con altri erano aquartierati nella medema
casa. Inoltre in detta Cittadella si precipitarono la casa del sacerdote Don
Fortunato Vecchi, nel quartiero della Matrice chiesa, quella del signor Don
Domenico Ponze de Leon, nel quartiero dell’Annunciata, e quella del clerico
Giuseppe Picciolo, nel quartiero di sotto la Piazza. Nel Borgo si dirupò la
casa di Rosalia La Sala con aver in essa morto un soldato tudesco e molti
restarono feriti, essendo quartiero di essi soldati. Di più molte altre case
nella Marina, alle quali s’avevano tolto li travi e canali e non poterono
resistere alla veemenza del vento. Ed andarono a basso, sino al suolo. E benché
continuasse il vento, non perciò cessarono le cannonate colle bombe dal mattino
sino la sera, continuamente, con gettarsi molte pietre nelle trinciere d’ambe
le parti nella notte, col fuoco incessante delli schioppi. Per lo che restò
morto un soldato tedesco e sei feriti della medema nazione.
25 febbraio 1719
25 febraro. Con
una palla di cannone disparata nel fortino della Tonnara restarono uccisi tre
marinari paesani, nominati [segue lacuna
nella copia, ndr] ed un soldato tudesco nella Marina, restrovandosi l’uno
poco distante dall’altri.
La penuria del legname necessario tra l’altro alla
panificazione militare spinge Wallis a proporre - senza successo - di
prelevarlo dai tetti di ulteriori fabbricati da abbattere È così grande la
carestia di legna tanto per li forni a far pane, come per cucinare per servizio
delle truppe e loro officiali, che furono publicamente sfasciate e rotte più
barche d’alcuni particolari paesani dalli soldati tedeschi. E gli poveri
padroni non puoterono nemeno querelarsi. Tanto che ritrovandosi nella Marina li
medemi, in loro presenza si romperono dette barche. Anzi accrescendo la penuria
di legna, furono chiamati dal signor Generale Zumjungen, comandante tudesco,
tutti li signori giurati di questa, alli quali si propose dal Generale Vallais,
in presenza del signor Zumjunghen, che per farsi il pane per dette truppe
necessitavano li legna, perloché sarebbe bene che si demolissero tutte quelle
case che non apportavano tanto nocumento alli cittadini per essere picciole e
di puoco prezzo, puotendo essi signori giurati far la diligenza per togliersi
il meno danno. Al che risposero che, prendendo tal arbitrio, s’avrebbero
attaccato molte murmurazioni delli cittadini e che Sua Eccellenza puoteva
disponere a suo talento come per il passato avea adoprato. E con molte
sommissioni fatte dalli Giurati si terminò il congresso, discorrendosi altre
materie. Bensì il Vallais insisteva con molto impegno che s’effettuasse il
demolimento proposto. E benché al medemo signor generale comandante s’avesse
fatto conoscere che demolendosi una casa - ancorché piccolissima - non si
puoteva abbrucciare duo o tre volte il forno per panizzarsi, ed avrebbe seguito
il grave interesse del padrone almeno di onze venti, non si puotè placare
questo generale, asserendo esser molto servizio del Re che le truppe non
patissero in cosa alcuna. Alla fine, conoscendosi dalli signori giurati
l’intolerabile ostinazione del Vallais, per minor danno delli poveri cittadini
si pregò al medemo signor Vallais che s’avessero ricercato per tutta la città
nelle case di tutti gli paesani, affinché si rompessero tutte le casse, armari,
scanni ed altre sorti di legnami per consignarsi alla forni per manufattura del
pane di monizione per servizio delle truppe. Ma alla fine, alle reiterate
suppliche delli sudetti spettabili giurati fatte al detto signor generale Zumjungen
per esser umanissimo, non s’eseguì la proposizione del Vallais, con tutto che
fosse stato inesorabile nel dirupamento delle dette case, né di farsi
l’inquisizione nelle case sudette per togliersi qualunque specie di legname,
ancorché lavorata in addobbo di esse case. Magiormente che per bontà divina
arrivarono nel Capo molte barchette piene di fascine e legnami da Calabria, per
lo che furono detti forni provisti. E con tutta questa provisione non furono
esentate tutte quelle botti che si ritrovavano nelli magazeni delli poveri
citadini, poiché tutte furono rotte e parte consumata dalli soldati, e parte
per la cocina degli officiali. Anzi, quelle radici di tutti gli alberi li quali
da più tempo si ritrovavano tagliate per fascine e per legna, così nel Capo
come in città, a forza di zapponi ed altri instrumenti dell’intutto furono
scavate e prese da detti soldati. Ed infine essi soldati a ciurme si
conferirono nel Capo, tagliando pure le siepi delli lochi. E di ciò non
contenti, col pericolo evidente delle loro vite, ascendevano gli più
inaccessibili luoghi montuosi con dirupi (avendo successo in alcuni il
precipitarsi con aver rimasto uccisi) solo per raccoglier erbe con le radici di
assenzio, che in abbondanza nel sudetto Capo si producono nelle cime de’ monti.
Un altro disertore Venne in questo giorno in città
un desertore spagnuolo, non raccontò cosa alcuna di sodezza. Vuol passare in
Napoli.
Zuffa tra ambulanti nel piazzale posto dirimpetto la
chiesa del SS. Rosario Tra l’altre bombe gettate in città, due creparono
sopra il convento di San Domenico e quantità di pezzi delle medeme diedero nel
piano. E con tutto che si ritrovassero migliara di persone, per esservi il più
principale mercato d’ogni vivere, come pure la frequenza dell’officiali e soldati,
per esservi nel convento sudetto albergato il signor generale Zumjungen con la
corte, non seguì alcun danno. Anzi, e gli soldati, e gli Napolitani fecero tra
di loro questione per chi doveva conseguire detti pezzi di bombe. Ed una femina
tudesca, quale stava vendendo alcuna sorte di viveri, procurò averne un pezzo
cascato in terra innanzi della medema, ma le fu tolta da un napolitano che pure
da vicino vendeva, per onde concorse moltitudine di persone: il napolitano
soggiacette alle pugnate della tudesca e doppo [fu] posto in carcere nel detto
convento per poche ore, col pagamento delle spese per ricrearsi la guardia
tedesca.
Distrutta una grossa barca Pure fu fatta
in pezzi una barca di capacità di salme trecento (qual era di Diego Maiolino)
dalli soldati per farsi legna a loro servizio. E meno si potè aprir la bocca
per non soggiacere ad altro peggio inconveniente.
Consiglio nel convento di San Domenico tra gli alti
ufficiali austriaci, alla presenza del comandante Missegla La sera sul
tardi in città vi fu molto bisbiglio per causa che d’ordine del signor generale
Zumjungen, comandante, furono convocati nel convento di San Domenico (ove
resideva) tutti gli generali tudeschi con altri officiali maggiori, nelli quali
intervenne il signor comandante della Piazza (bensì col solo grado) Monsignor
Missegla. E si fece assemblea sino a notte. Non si puotè penetrare cosa alcuna,
asserendosi per presupposizione che l’arme cesaree volevano il dominio per il
Regno con l’esclusiva delli Piemontesi e Savojardi.
26 febbraio 1719
Armistizio con scambio di prigionieri La notte
antecedente furono disparate migliara di scopettate nelle trinciere d’ambe le
parti, col gettito di più bombe e di pietre, restando molti soldati uccisi e
molti feriti. E nella mattina sin ad ore sedici non cessò il fuoco delli
cannoni con quantità di bombe disparate contro la città. E doppo seguì
l’armestizio nelle trinciere che persistette per insino ad ore 23, avendosi
condotto dal campo spagnuolo li prigionieri tudeschi e di Savoja e di Piemonte con
alcune barche partite dalla ripa del mare per la parte possessa dalli
Spagnuoli, con aversi disbarcato in questa Marina sotto il Bastione di San
Gennaro, fra quali vi furono il maggiore del Reggimento di Salluzio di Piemonte
il cavalier Baroli, il capitan Bolgaro de’ focillieri, Monsù Andreotti capitano
de’ Granatieri di Salluzio. Il sudetto capitan Bolgaro restò prigioniero in
Tavormina e gli altri nel giorno della Battaglia seguita fori le nostre porte
con altri officiali e soldati. E molti altri si stavano aspettando per il
giorno seguente assieme col Monsignor Valati, tenente di focilieri di Piemonte,
ed altri tudeschi che si retrovavano nella città di Messina.
27 febbraio 1719
Fuga dal campo spagnolo di dieci pescatori A 27 febraro.
La notte trascorsa se ne fuggirono dal campo spagnuolo sopra una barca, qual
era nella ripa del mare di dietro, diece marinari paesani nomati Placido
Buccafusca alias Capitanello,
Antonino Pirajno, Giuseppe Crifò, Giuseppe Maria, Cristofaro Maiorana, Lorenzo
Maiorana, Antonino di Napoli, Saverio Crisafulli, Antonio Falcone e Domenico
Vitali. Avendo disbarcato nel Capo e venuti in città per lavoro col signor
Reiungen, tedesco. Riferirono avere stato da molto tempo in detto campo per
aversi tolto la communicazione, travagliando in mare ed in terra per
procacciarsi il vivere. Ed avuta l’occasione di poter fuggire colla detta
barca, rischiarono la vita e li riuscì il bramato intento senza alcun danno.
Il campo spagnolo rifornito di viveri Come pure che
nella Piana gli Spagnuoli non avevano bisogno di viveri, per esserli stato
condotto quasi di tutto il Regno qualunque specie di comestibili. Ed inoltre il
vivere era di prezzo mediocre. Di più che correvano gravissime infermità,
seguendo la morte di più soldati con molti officiali. E data la loro relazione
furono condotti in prigione, ove, trattenuti poche ore, ebbero la libertà.
Fuga di un popolano Li giorni
scorsi s’avea partito da questa furtivamente Giuseppe Murina, plebeo paesano,
non con altro motivo, solo per aversi contrastato con altro della sua
condizione. E per timore di non andar carcerato dalla giustizia. Ed in detto
giorno retornò dal campo, ed essendo stato scoperto in città fu preso innanzi
la chiesa di Giesù e Maria la Vecchia, con esser posto in prigione. Ciò derivò
per esser una persona non troppo riguardata da buon occhio, atteso le sue
azzioni un puoco indiscrete.
Bomba spagnola distrugge la casa dei Parra in Marina Vi furono
gettate nella città molte bombe dalli fortini delli Spagnuoli, specialmente
nella parte inferiore d’essa città, col disfacimento di molte case. Ed una
entrò nella casa ove abitavano li figli e moglie di Don Blasio Parra, nella
Marina. E consumata tutta la casa, non furono offesi li sudetti, benché
avessero rimasto, oltre lo spavento avuto, tutti incalcinati.
Il fuoco delli
cannoni disparati contro la città fu molto fervente e continuò per insino la
sera, non tralasciandosi dalli nostri bastioni e fortini eseguire l’istesso. E
li cittadini restarono nonché storditi per il rimbombo, pure spaventati col
timore della morte, non badandosi più né alle case, né alli mobili che
tenevano. Poiché infallibilmente toccata una casa o da bomba o da palla di
cannone, restava dell’intutto demolita, particolarmente quelle che non erano
abitate, rubbandosi tutto il mobile dalli soldati.
Mortari sparano bombe e pietre sulle trincee: i
soldati morti seppelliti nella terra in prossimità delle stesse trincee La notte doppo
si dispararono molti e molti mortari di bombe e di pietre nelle trinciere, per
molte ore interpellatamente s’intesero più migliara di scopettate, osservandosi
distintamente il fuoco dalla città per la vicinanza che vi era. Per lo che
restarono molti soldati uccisi, li quali conseguivano il sepolcro nella sabbia,
vicino dette trinciere. E molti feriti che si conducevano in città per esser
medicati, ma pochi erano quei che si guarivano.
28 febbraio 1719
Due disertori del battaglione Cordova forniscono
notizie sul campo spagnolo composto da 28 reggimenti 28 febraro.
Desertarono dal campo spagnolo due soldati di Cordova. Riferirono esservi nel
campo 28 regimenti intieri e tutti soldati guagliardi, con aver venuto da
Palermo un regimento, con aspettarsene altri due. Che nel campo vi era
abbondanza di viveri e molta provisione di guerra.
Demolito dalle artiglierie un fabbricato in
prossimità del Palazzo del Governatore. Vandalizzato ulteriormente dai soldati
che ne prelevarono tutto il legname possibile Continua il fuoco di cannoni,
bombe e schioppi, col gettito di molte pietre nelle trinciere. E sempre
restavano morti alcuni soldati ed altri feriti. Tra l’altre bombe una entrò
nella casa solerata di Antonino Imbruglia sotto il Palazzo del Governadore. E
per fortuna non si ritrovava persona alcuna, bensì consumata in parte dalla
detta bomba, fra poche ore, non comparvero né le porte, né le fenestre, né il
solaro, né il tetto. Solamente li canali in pezzi gettati sul suolo e le mura
pure demolite per aver più commodità gli soldati - e senza pericolo alcuno - di
prendersi tutti li legna.
Giungono da Messina imbarcazioni cariche di
prigionieri piemontesi ed austriaci, grazie all’armistizio concluso in
precedenza
Vennero da Messina tre felughe, una di detta città e l’altre due padronizzate
da Padron Vincenzo Maiolino e Padron Giacomo Bonaccorso di questa città, quali
conducevano molti soldati tudeschi ed italiani con molti infermi, quali tutti
erano stati prigionieri. E per il cambio li giorni scorsi furono rimessi in
questa, con avere disbarcato in questa Marina. E li sudetti due padroni paesani
chiesero al signor generale Zumjungen, comandante, che puotessero condur seco
molte femine loro parenti. Ed avuto il permesso la sera ben tardi retornarono in Messina, numerandosi
tra l’altre femine Francesca Pitretta, Grazia Chillemi sua nuora ed altre. In
tutto al numero di ventitre.
1 marzo 1719
Due disertori francesi fuggiti dal campo spagnolo Primo marzo.
Comparvero su l’alba due soldati francesi fuggiti la notte trascorsa dal campo
spagnuolo. Non riferirono cosa di conseguenza, volevano passar in Napoli, ove
avrebbero preso le loro resoluzioni.
Fu continuo il
fuoco d’una parte e l’altra, così di cannoni e bombe, come di pietre. Col
disparo di molte scopettate nelle trinciere, restando tutta la città devastata
e molti uccisi in dette trinciere. Ed altri feriti.
2 marzo 1719
Bomba danneggia abitazione nel quartiere di S.
Giacomo, facendo volare la parrucca all’inquilino A due marzo.
Tra l’altre bombe disparate nella città, una diede in casa del signor Don
Saverio Siragusa, nel quartiero di San Giacomo, nella quale abitava il signor
Don Giuseppe Picciolo con la moglie, figli e servitù, avendosi retirato il
Siragosa con la fameglia nel Capo per il timore. Ed entrata la bomba dal tetto,
quello tutto fracassò. E cadendo in una stanza, ove si retrovava la signora
Maria, moglie del Picciolo, restò questa (benché tramortita) senza danno.
Attraversando la detta bomba nella medema stanza, discese per la scala e,
ruppendo quello che se l’incontrava, entrò in una stanza di sotto, nella quale
esso di Picciolo stava giuocando a carti col signor Don Giuseppe Parra ed
altri. E rottasi in pezzi la bomba, fracassò così la porta d’innanzi, come
quella da dietro della medema casa, senza danno alcuno delli sudetti quattro
che giuocavano. Solamente al Parra, per il vento della bomba, fu tolta la
pilucca [parrucca, ndr] dalla testa,
che pure s’intenerì e ciò si notò per un portento.
Molti soldati
furono uccisi ed altri feriti nelle trinciere, non tanto per le bombe disparate
dalli Spagnuoli, quanto per le pietre gettate, specialmente nella notte, e per
le molte scopettate, stante che molte battuglie di soldati sono astretti col
loro capo circuire le dette trinciere, facendo la guardia in ogni notte.
La batteria del bastione di S. Maria e la gara dei
giovani cannonieri per centrare il campo spagnolo e le trincee nemiche Nel Bastione di
Santa Maria nella Cittadella vi sono stati cinque cannoni da battere molto
grossi di libre sessanta l’uno e di continuo si disparavano, tanto che era
molto grave il rimbombo, per lo che tutte le case si sconquassarono. Anzi, per
il molto fuoco allo spesso, restarono due dell’intutto inutili a dispararsi,
avendosi sfoconati; e l’altri tre, benché un puoco pure lunghi nelli foconi,
restarono consegnati fra l’altri cannonieri a Don Francesco Parra e Don
Sebastiano Tappia, pure cannonieri. Questi, per esser giovanetti, con molto
brio volsero ogn’uno il suo cannone per osservare il tiro che faceva nel campo.
Anzi andavano a gara per meglio colpire al luogo deputato nel campo nemico e
nelle trinciere e fortini. Onde, avuta la licenza per disparare, non cessavano
dalla mattina sino la sera. Il che recava sovente nocumento all’abitanti
convicini per restare storditi. Oltra che tutte quelle case che non furono
demolite dalli cannoni e bombe gettate dalli Spagnuoli restarono sconquassate
ed aperte dal rimbombo di detti cannoni. Invero che apportava un tormento
insoffribile quando che si sapeva per certo che detti cannoni non molto offendevano
al nemico, come riferivano gli desertori. Al contrario bensì delli cannoni che
esistevano nelli fortini di San Francesco e di San Rocco, li quali molto
danneggiavano detto nemico.
3 marzo 1719
Ulteriore armistizio in mezzo alle trincee (come di
consueto) per scambio di prigionieri A 3 marzo. In questo giorno all’alba
principiò il bastione di Santa Maria il disparo delli suoi cannoni, continuando
sin al Vespro e sussequentemente fu seguito dalli altri fortini. Perloché dalli
Spagnuoli s’effettuò l’istesso, tanto che in città non vi fu in detto spazio di
tempo scintilla di quiete. Inoltre, intercalatamente si gettavano nella città
molte bombe, sempre con il demolimento di molte case.
Da Vespro sino
ad ore 23 seguì l’armestizio, avendosi radonato officiali d’una parte e
l’altra, essendovi dalla nostra parte il signor comandante Missegla. Si fece
per il cambio delli soldati prigionieri d’ambedue gli eserciti, volendo detto
signor di Missegla, comandante, che nel cambio fosse incluso il signor Don Guglielmo
Colonna, il quale dal principio dell’imbrocco della città si retrovava
prigioniero in Messina nel Castello di Mattagriffone, come si scrisse. E la
sera, finita dagli deputati il trattato nel mezzo delle trinciere (come al
solito), di nuovo s’intese il disparo delli cannoni col gettito di bombe e si
gettarono più pietre dell’altri notti. Anzi, vi fu un fuoco molto continuo di
più ore di scopettate, tanto che si vidde sino la mattina seguente, per lo che
morirono uccisi molti soldati con altri feriti, tra’ quali un capitano tudesco,
che era di guardia, restò gravemente ferito: e di subito condotto in città per
medicarsi, dicendo di esser mortale la ferita. Ed un tenente della medema
nazione fu ucciso con una palla di schioppo ferito nel petto, trapassato d’una
parte e l’altra. E di più il capitano ferito morì il giorno seguente.
4 marzo 1719
A 4 marzo. Il
fuoco delli cannoni continuava gagliardamente e col disparo di mortari di bombe
e, nella notte, di pietre, oltre la quantità delle scopettate nelle trinciere.
Per lo che le case sono state tutte fracassate, parte in tutto e parte in
alcune mura. E di più restarono alcuni soldati uccisi e molti feriti in dette
trinciere.
Un disertore irlandese comunica la presenza di
18.000 militari nel campo spagnolo Comparve ben mattino un desertore dal
campo spagnuolo. Era irlandese: riferì esservi in detto campo da 18mila
soldati.
Bomba cade accanto al marchese d’Andorno di ritorno
nella cittadella fortificata Una bomba diede nel piano di San
Domenico sotto la porta della Cittadella, in mezzo d’alcuni cavalli, sopra de’
quali si retrovavano il signor Generale Marchese d’Andorno di Piemonte con
altri officiali e della sua nazione e tudeschi. Li quali, avendo stato in detto
convento al corteggio del signor generale Zumiunghen, mentre si retiravano
nella Cittadella la bomba diede in mezzo delli cavalli, con avere crepato nel
suolo e con aver alcuni pezzi inalzato di nuovo nell’aria. E pure nessuno delli
sudetti restò offeso. Al che si notò per un portento, tanto per non aver
sortito alcun danno, come per avere restato li sudetti a cavallo. Bensì questi
per il timore tutti si disordinarono, fuggendo chi ad una parte e chi ad
un’altra. Ed il marchese Andorno si demostrò buon cavalcante, poiché la bomba
cascò due in tre passi distante da esso.
Carestia Molto era scarso il vivere in città
tanto per le truppe, come per li cittadini, comprandosi le vettovaglie di
prezzo molto esorbitante. Oltre che quelle si retrovavano erano di malissima
qualità ed era necessario comprarle per non morirsi di fame.
5 marzo 1719
A 5 marzo. Non
cessò il fuoco d’una parte e l’altra, dalla mattina sino alla sera, col disparo
delli cannoni e di mortari di bombe e - la notte - di pietre nelle trinciere.
Con aver seguito la morte di tre soldati ed otto feriti.
Altri due disertori La notte
antecedente disertarono dal campo spagnuolo un sargento ed un caporale
aragonesi, li quali si retrovavano di battuglia nelle trinciere. E presero la
fuga nascostamente, avendoli seguita senza alcun danno l’impresa tentata.
Una bomba colpisce casa Muscianisi in Marina Si disparò una
bomba dal campo nemico, diede nella casa di Giovanni Muscianisi nella Marina,
vicino il bastione di San Gennaro. Perloché tutta detta casa si fracassò con la
perdita di molto mobile.
Terminato un nuovo forte in contrada Albero In questo
giorno si vidde nell’alba completo il forte nella contrata dell’Albero con una
batteria di 12 cannoni. Il quale da più giorni innanzi s’avea principiato a
formarsi. Onde sovragiunse all’afflitta città questo altro flagello.
6 marzo 1719
Giungono al Capo imbarcazioni cariche, tra l’altro,
di viveri e legna
A 6 marzo. Comparvero da lontano molte e molte imbarcazioni sopra Strongoli e
nella Calabria. E la sera ben tardi approdarono le tartane con alcune felughe
nel Capo, le quali tutte condussero provisioni di viveri per le truppe e parte
per li poveri citadini. E giunsero in tempo, che la città era in molta penuria
e carestia d’ogni cosa. Inoltre vennero molte fascine per fabbricarsi il pane e
molti palaccioni di legna per farsi trinciere ed altri. Perloché con tutto che
avessero stati privi li cittadini di tutti li botti che tenevano nella case e
magazeni per servizio delli forni, come pure della legname delle case demolite,
nulladimeno sempre s’insiste per diruparsi dell’altre, volendo in ogni modo che
in tutto non apparesse vestiggio alcuno di fabriche. Specialmente nella parte
inferiore della medema città. Per onde si conobbe che le preghiere giustificate
e ragioni addotte dalli principali cittadini agli officiali magiori per non
demolirsi le case non furono intese, non per poca intelligenza delli
comandanti, ma per la divina permissione, la quale volse, per li gravi misfatti
d’un popolo molto dato all’empietà, castigarlo. Permettendo che nemeno si
conoscesse un apparente assordo che si pratticava dalli officiali contro gli
poveri cittadini, tanto nel demolirsi le case, come in qualsivoglia altra cosa
che avrebbe possuto suffragare al beneficio commune della città.
E con tutte
queste gravi turbolenze, in questo giorno non si puoterono numerare le
cannonate disparate e bombe gettate nella città dalli Spagnuoli, servendoli di
bersaglio la Cittadella ed il Convento di San Domenico, dove resideva il signor
generale Zumjunghen, ed altre parti speciali, nelle quali s’avea notizia che
albergavano officiali maggiori e d’alcun carato.
Si spara così tanto che si pensa ad una battaglia La notte poscia
s’attendeva al disparo delli mortari di bombe e pietre nelle trinciere, anzi da
tutti gli cittadini si stiede con molta pertubazione sino al mattino, poiché fu
così frequente e continuo il disparo delli schioppi che si credette esservi una
battaglia generale. Magiormente che oltre gli officiali, quali si retrovavano
nelle trinciere, quasi tutti li signori generali assieme col signor comandante
Zumjungen e col seguito di più e più truppe concorsero in detta notte nelle
trinciere, con aversi trattenuto sin all’alba. Perloché si può considerare come
passavano gli poveri abitanti per il timore che li sovraprese.
Bomba centra il Palazzo Baeli (oggi Proto) in piazza
del Carmine
Nel medemo giorno una bomba, fra l’altre, crepò nel palazzo grande di Baeli,
nel piano del Carmine. E s’osservò che si fracassarono molte camere, con
l’abbrugiamento di molto mobile di qualche considerazione.
7 marzo 1719
Giungono dalla Calabria altre imbarcazioni con
viveri e legna
A 7 marzo. Approdarono in questo Capo quaranta tartane con alcune felughe
venute da Santa Eufemia nella Calabria, cariche di vettovaglie con molti legna
e fascine. Perloché la città ebbe alcun sollievo, potendosi sostentare e non
morir di fame gli poveri cittadini. Con tutto che ogni cosa s’avesse comprato a
prezzi molto rigorosi. Ed inoltre s’ottenne qualche triegua per non diruparsi
più case, né ricercarci né barche, né altre botti e massaritie di legname per
farsi il pane, per averne venuto in abbondanza.
Giunge notizie dell’imminente arrivo di truppe
austriache da Napoli, sempre che le avverse condizioni meteorologiche lo
permettano
Si raccontò dalli padroni e marinari di dette barche esservi state veridiche
notizie che per il primo del sudetto mese di marzo si dovevano retrovare in
Napoli molte navi ed altre imbarcazioni per lo trasporto in questa città di
quantità di truppe tudesche. Bensì s’asseriva che ciò non avesse seguito per li
cattivi tempi nel mare occorsi. Ed un cappellano d’una tartana corsara, quale
pure venne in detto giorno, raccontò che tutte l’imbarcazioni, che si
retrovavano nel mare viaggiando, patirono molto danno, tanto che alcune
naufragarono per le molte borrasche e venti validi tra sé contrarij occorsi.
Con aversi attribuito a miracolo che tutte non s’avessero perso nel pelago. E
molto si temeva che una tartana non si avesse perduto nel mare, per non aversi
avuto notizia di essa da più giorni, quando che da più tempo doveva esser
ritrovata in questa.
Trincee coperte con tavoloni per salvaguardare i
soldati Continuarono
gagliardamente le bombe in città col fuoco incessante delli cannoni. E due
bombe, fra l’altre, diedero sopra il convento di San Domenico e non fecero
danno alcuno. E la notte fu continuo il disparo di quantità di schioppi nelle
trinciere, con molti mortari di pietre e bombe, perloché necessariamente ha
seguito la morte di cinque soldati per essere stati uccisi in dette trinciere
ed altri feriti. E il danno ordinariamente ha seguito nelle nostre trinciere,
poiché gli Spagnuoli per rimaner più cautelati posero quantità di tavoloni. Il
che non s’ha fatto dalli Tudeschi. Bensì doppo s’effettuò. Oltreché le nostre
truppe o per aver più animo, o per non temer la morte, specialmente gli
Tudeschi, arrischiavano più nelle battuglie ove si retrovano di guardia.
Circolano voci di alleanze A bocca piena da
tutti gli officiali, così tedeschi come dell’altri, si pubblicava che colla
Cerarea e Catolica Maestà s’abbiano collegati e gli Irlandesi e gli Portoghesi.
Concorrendo tutti assieme con gli Inglesi contro la Spagna. Si stava attendendo
l’esito per osservarsi se la relazione divolgata fosse stata veridica,
rassembrando un secolo un atomo di tempo alli poveri cittadini, affinché
fossero liberati da cossì atroci afflizioni.
Muore bimbo durante il crollo di una casa, causato
dal prelevamento d’un pezzo di legno conficcato nelle murature Si dirupò in
questo giorno la casa del signor Ottavio Terranova, nel quartiero di Gesù e
Maria la Nuova, con avere seguito la morte d’un fanciullino d’anni cinque,
nomato [segue lacuna nella copia,
ndr] Simulomini, figlio di mastro Domenico, con aversi pure precipitato altre
case collaterali. Successe che avendosi in detto quartiero dirupato una casa
(come l’altre) per ordine de’ superiori, rimasero in quella solamente le mura
in piede. E per non aversi badato restò in un muro di essa un pezzo di legno
pendente. Alcuni sodalti, ingordi di conseguire detto legno, fecero leva con
molti ordigni per far precipitare detto muro e con la forza adoprata venne a
terra, tanto che sudetta casa tirò l’altre collaterali. Perloché morì quel
povero figliuolo ed un altro soldato tedesco pure restò ucciso sotto le pietre.
Ed altri soldati furono feriti malamente, non per altro che per guadagnare un
pezzo di legno che non si poteva vendere più di grana sei.
Consiglio nel convento di S. Domenico tra i vertici
militari austro-piemontesi Si vedde in questo giorno un corteggio così superbo
da quasi tutti gli officiali tudeschi e di Savoia, e di Piemonte, al signor
generale Zumjungen nel convento di San Domenico, dove questo albervaga, tanto
che fu trattenuto per molte hore con aversi sospeso per detto tempo il giuoco
che giornalmente si esercitava ed era frequentato di continuo - cossì in
publico nella corte, come in camera sovente - di dadi. Alle volte di corte si
penetrò solamente esservi state commissioni speciali della Maestà Cesarea e
Catolica, ma non si pubblicarono per aver così dettato la ragione e politica di
Stato.
8 marzo 1719
Riconversione di un soldato veneto A 8 marzo. Da
più giorni s’infermò un soldato tedesco nell’ospedale, e ritrovandosi molto
grave per il morbo col pericolo della vita fece chiamare il Padre lettore fra
Errigo Passalacqua, domenicano, quale conferitosi dall’infermo, questo li disse
che domandava salutare remedio per non dannarsi, poiché avea stato nella
religione con aver fatto la professione. Bensì non avea asceso agli ordini
sacri e che era della provincia di Venezia. Ed infine voleva reconciliarsi, non
volendo perder l’anima per voler morire da catolico. Quello l’avesse consultato
il Padre religioso non si penetrò per essere stato negozio di coscienza. Sopra
che si deve riflettere che s’avesse compiaciuta Sua Maestà che in così copiose
truppe di diverse nazioni s’avesse solamente ritrovato il sudetto soldato
apostata e non tanti e tanti eretici di differenti sette come meglio s’esporrà.
Morte d’un soldato austriaco ferito in trincea A Vespro in
detto giorno fu portato in questa città un soldato tedesco spirante per esserli
stata data una scopettata dalli Spagnoli, retrovandosi di guardia nelle
trinciere. E con una palla fu ferito nel collo, con averli passato nella gola.
Ed il povero fra poche ore morì arrabbiato senza aver possuto profferire
parola, solamente gettando voci confuse con urli e senza sentimento alcuno. Per
certo che recava tal veduta nonhé orrore, una compassione lacrimevole pure agli
nemici ancorché suoi particolari.
Nomine nell’esercito piemontese S’intese pubblicamente
che il signor Baroli, maggiore del Regimento di Salluzio, fu eletto tenente
colonello del Regimento de’ Focilieri in loco del fu conte Lignaville. Come
pure il signor cavaliere Castagnoli, capitano del detto Regimento di Salluzio,
doveva eligersi per maggiore, ma del primo s’effettuò la carica ed il secondo
restò escluso, avendosi doppo alcuni giorni eletto altro officiale nomato
signor Pietro [segue lacuna nella copia,
ndr].
Tragitto anomalo d’una bomba sparata da contrada
Albero
Si vidde la sera un portento. Disparata una bomba dal forte delli Spagnuoli
nuovamente fabricato nella contrata dell’Albero diede nel piano della chiesa di
San Rocco, ove rottasi, la metà intiera recise un povero soldato tudesco che si
retrovava giacente in terra, in parte sequestrata dietro un muro di detta
chiesa, e doppo metà di detta bomba sospesa in aria corse sino al convento di
San Domenico e, precipitata nel suolo, ruppe una gamba ad altro soldato
tudesco.
Partono dal Capo imbarcazioni al servizio degli
austriaci
Partirono la sera tutte le tartane e
felughe, che erano approdate nel Capo, verso Calabria e Napoli, scortate tutte
da molte navi inglesi per il timore delle barche corsare delli nemici
spagnuoli, le quali continuamente andavano predando per la costa di Calabria,
azzardando sovente procedere sino al Capo di questa.
9 marzo 1719
Un disertore spagnolo informa gli Austriaci A 9 marzo. Ben
tardi venne un desertore dal campo spagnuolo di nazione di Granata. Raccontò
molte dicerie, fra l’altre esservi in quel campo da 14 in 15 mila soldati
scielti, oltre l’infermi in copiosa quantità. E di più ritrovarsi abbondanza di
tutti li viveri ed a buono prezzo.
Nelle trinciere
morirono sei soldati uccisi da palle di moschetti e da pietre disparate, oltre
la quantità delli feriti e stroppiati.
Il fuoco delli
cannoni disparati e bombe gettate d’una parte e l’altra seguì in molto numero.
E benché non avesse seguito alcun danno nelli paesani, nondimeno fino a questo
giorno non vi è stato né quartiero, né strada, né vicolo in città che avessero
stato esenti a non patire alcun danno - o più o meno - e di persone e di case.
Viveri giungono dalla Calabria. Ma la città è in
perenne penuria di commestibili Pure vennero da Calabria alcune tartane
con molte felughe con aver condotto alcuni viveri, così per servizio delle
truppe a nome regio, come pure a conto de’ particolari. E ciò nonostante sempre
la città si retrovava in molta carestia, non puotendo in nessun modo esser
sufficienti gli viveri condotti da Calabria e di Napoli per tanta moltitudine
di persone.
10 marzo 1719
Cinque disertori (quattro francesi ed uno spagnolo)
giungono dal campo spagnolo. Si tace il numero dei morti nelle trincee per non
«intiepidire» le truppe A 10 marzo. Desertarono dal campo spagnuolo quattro
soldati francesi. Non riferirono cosa alcuna di conseguenza.
Non cessarono le
cannonate, bombe e mortari di pietre dalla mattina sino alla sera d’ambedue le
parti. Specialmente la notte nelle trinciere fu continuo il fuoco delli
schioppi, col gettito di più mortari di pietre, onde restavano molti soldati
morti ed altri feriti. E ciò non si pubblicava per non intepidirsi le truppe.
Sussequentemente desertò dal campo spagnuolo un sargento di Granata. Non riferì
cosa alcuna di solo. Vuolse andarsene in Napoli, ove asseriva che avrebbe preso
alcuna deliberazione.
11 marzo 1719
Fuga dal campo spagnolo con la barca di un milazzese
bloccato nella Piana dal periodo delle vendemmie A 11 marzo.
Comparvero nove persone paesane ed una di Messina, le quali la notte scorsa se
ne fuggirono dal campo spagnuolo con una barchetta di maestro Antonino
Catanzaro, al quale la rubbarono furtivamente per aversi retrovato il sudetto
di Catanzaro in detto campo da quel tempo che seguì la vendemia, non avendo
possuto retornare in città. Le sudette persone si nominano maestro Onofrio
Composto di Stefano, Giuseppe Anello, Giovanni La Rosa [segue lacuna nella copia, ndr] e quello di Messina maestro Andrea
Giuffré. E per retrovarsi detta barchetta nella ripa del mare di Ponente li
sudetti concertati azzardarono ed approdarono nel Capo, da dove venuti innanzi
il signor generale Zumjunghen, e dal medemo interrogati sopra gli affari
spagnuoli, furono rimessi liberamente.
Morirono la
notte scorsa molti soldati tudeschi, uccisi con palle di schioppi e con pietre
gettate nelle trinciere. E molti restarono feriti.
Due bombe colpiscono la cittadella fortificata Il fuoco del
cannone d’ambe le parti col disparo delle bombe fu continuo come al solito
senza intermissione di tempo, con molto spavento delli cittadini, temendo in
ogni momento di perder la vita. E, tra l’altre bombe, due arrivarono per [segue parola di ardua trascrizione, ndr]
dentro la Cittadella, una nel piano della Matrice, la quale non crepò, e
l’altra in casa del signor Don Antonino Tappia e, crepata, quella fracassò in
più parti.
I capitani milazzesi Farina e Piraino trasportano
via mare prigionieri dal campo spagnolo La sera giunsero due felughe milazzesi
comandate da Padron Francesco Farina e Padron Francesco Piraino, le quali
vennero dalla ripa del mare dominata dalli Spagnuoli. E disbarcarono in questa
Marina molti altri prigionieri ed ottennero detti padroni, con li marinari, di
puoter condurre seco le loro moglie ed altre loro congionte. E partirono
l’istessa sera ben tardi per detta ripa da dove avevano partito.
12 marzo 1719
Notizie dal campo spagnolo grazie a tre
disertori 12 marzo La
notte precedente vennero tre desertori dal campo spagnuolo, due di Siviglia e
l’altro francese. Tutti e tre granatieri del regimento di Vallona. Riferirono
ritrovarsi nel campo molta abbondanza di viveri e di baratto e ben mercati. E
ritrovarsi da 14 in 15 mila soldati scielti, oltre gli infermi.
Il forte dell’Albero danneggia la città. Morti e
feriti nelle trincee
Il fortino fatto nella contrata dell’Albero nell’alba principiò a disparare
molti cannoni e seguì un danno notabile nella città per causa delle palle
gettate. Vi furono la notte precedente otto soldati morti e tre feriti per
causa delle palle di scopettate e di pietre gettate nelle trinciere.
Partenza per la Spagna di Don José Patiño y Rosales Partirono la
medema notte da Lipari due galere spagnuole, sopra le quali si retrovava il
signor generale Patigno per condursi nella Spagna per negozij di quel regnante,
passando nel golfo per aversi giorni a dietro condotto in Lipari dal campo con
dette felughe, da dove si fece la partenza con dette galere.
13 marzo 1719
Ferito nelle trincee austro-piemontesi il capitano
Sartorio del Reggimento Fucilieri Restarono alcuni soldati morti nelle
trinciere con molti feriti per il continuo fuoco delle scopettate, oltre delli
mortari di pietre disparate, restando pure gravemente ferito Monsignor
Sartorio, capitano del Regimento de’ Focillieri di Savoia, il quale si
retrovava di guardia in dette trinciere. Poiché una palla di cannone disparata
nel campo spagnuolo diede nell’arena in dette trinciere e colle pietre
scagliate il sudetto capitano restò ferito.