giovedì 21 dicembre 2017







Capitolo VIII

(trascrizione a cura di Giovanni Lo Presti, Salvatore Salmeri e Massimo Tricamo)

Altra bomba diede nel bastione di Santa Maria dentro la Cittadella e, crepata in esso, nessun di quelli che si retrovavano fu offeso. Inoltre altre bombe, che furono gettate nella parte inferiore della città, disfacendo altre case. In detto giorno non cessò il disparo delli cannoni d’una parte e l’altra e, fra la copiosa quantità delle bombe sparate, una entrò nel convento di San Domenico senza alcun danno. E la notte pure si dispararono nelle trinciere molte e molte focillate col gettito di più bombe e di pietre, perloché sempre resta alcuno ucciso, oltre li feriti e molti stroppiati.

Arrivo di quattro disertori dal campo Spagnolo, i quali danno notizia dell’ordine emesso dal viceré spagnolo a tutela dei cittadini della Piana. Armistizio tra i due eserciti con lo scambio di alcuni marinai Sul Vespro vennero dal campo spagnuolo quattro desertori: asserirono esservi espresso ordine di quel signor viceré di Spagna che in avvenire non si disperdessero più l’effetti delli paesani nella Piana ed esservi molta abbondanza di viveri. E susseguentemente doppo seguì l’armestizio tra li due eserciti nel mezzo delli trinciere. Intervennero gli officiali deputati d’una parte e l’altra: si discorse il cambio d’alcuni marinari. Qual finito ad ore ventidue, si multiplicò il ribombo delli cannoni e disparo di bombe.

Guerra del 1718 in Italia per la successione di Spagna - I. e R. Istituto Geografico Militare in Vienna (contenuta in Campagne del principe Eugenio di Savoia / opera pubblicata dalla Divisione storica militare dell'I. R. Archivio di guerra [austro-ungarico] in base a documenti officiali e ad altre fonti autentiche [fatta tradurre e stampare da sua maestà Umberto Primo Re d'Italia] - Torino : Tip. L. Roux e C - vol. XVIII edito nel 1901: Guerre in Sicilia e in Corsica negli anni 1717-1720 e 1730-1732)

14 febbraio 1719
Sepoltura nella chiesa del Rosario di un tenente austriaco ucciso da una pietra nelle trincee. Bombardata la chiesa di S. Caterina, illesi i militari austriaci che vi dimoravano. A 14 febraro. Si sepellì nella chiesa de’ Padri Domenicani un tenente tudesco, qual restò ucciso nelle trinciere con una pietra. Due palle di cannoni, una doppo l’altra, diedero nella chiesa di Santa Caterina con averla sconquassata, restando illesi li soldati tedeschi, quali in essa commoravano. E continuò per sempre il disparo de’ cannoni e bombe. E la notte non cessarono le focillate in dette trinciere, seguendo sempre gravissimo danno nelli poveri soldati, specialmente a quei che si retrovavano di battuglia.

15 febbraio 1719
Tre disertori dell’esercito spagnolo, due spagnoli ed un francese, affermano tra l’altro che le bombe lanciate sulle loro trincee non provocano danni in quanto protette da spessi tavoloni. Quattro marinai fuggono dallo stesso campo spagnolo con una piccola barca, ingannando il capitano di guardia al quale avevano promesso una quota del pescato. Gli stessi riferiscono che alcuni contadini uccidono militari allo scopo d’impedire l’abbattimento dei propri alberi di ulivi A 15 febraro. La notte antecedente desertarono dal campo spagnuolo tre soldati, due della medema nazione e l’altro francese. Tutti e tre affermarono che le loro truppe non consequiscono nocumento alcuno dalle nostre bombe e cannoni, per essere preservati da molti tavoloni ben grossi e con molto arteficio adoprati. Come pure ritrovarsi quantità di qualsivoglia commestibile, solamente esservi molti soldati infermi e seguir la morte d’alcuni di essi.
L’istessa notte se ne fuggirono dal campo sudetto quattro paesani marinari con una barchetta, nominati Tomaso Composto, Andrea Caravello, Giovanni Capone e Domenico Cusimano, avendoli successo fortunata industria per non dire sagacità premeditata. Poiché, presa detta barchetta alla ripa del mare vicino li molini [mar di Levante, ove oggi sorge la Raffineria, ndr], uscirono da quel lido con tutti l’ordigni di pescare - lenze, ami, reti ed altri - colla licenza del capitano di guardia, che resideva in quello scaro, adescato colla speme d’assaggiare parte del pesce che s’avrebbe preso. E con tal inganno s’allontanarono dal lido. Ed osservando che per il buio della notte non puotevano essere scoperti, velocemente si posero a vogare verso questa città: e cossì gli sortì la stratagemma da più giorni fra loro concertata.
Riferirono che in detto campo esservi molta abbondanza di viveri ed a prezzi di baratto, il vino a grana quattro per ogni quartuccio venduto nelle barche che da fuori il condussero. Di più che, avendosi devastato l’alberi dalli soldati, servendosi questi delli legna, tanto per fascine come per far la cocina e per mangiare, s’avessero allontanato le truppe per le parti convicine della comarca per far provisione di legna, tagliando l’olivare. Perloché restarono uccisi alcuni soldati dalli villani per defender li loro effetti e beni stabili. Bensì s’abbia processo nascostamente nell’uccisione sudetta, altrimenti - scoperti l’uccisori - avrebbero sofferti gravissimi accidenti pure nella vita.

Continuano le cannonate d’ambo le parti senza tregua, nemmeno durante la notte. Una bomba colpisce la casa del sacerdote Saverio David sita nel piano del Carmine, uccidendo e ferendo chi vi dimorava Non cessò il disparo delli cannoni e bombe d’ambe le parti. E nelle trinciere si gettarono molte pietre, oltreché continuarono nella notte le focillate a segno tale che rassembrava aversi dato assalto generale. E li poveri cittadini nemeno nella notte potevano aver alcuno spazio di quiete, e sempre stavano colla morte sugli occhi. Tra l’altre bombe gettate nella città, che disfecero l’abitazioni delli cittadini al solito, una diede nella casa del sacerdote Don Saverio David posta nel piano del Carmine, con aversi tutta disfatta la casa: ed uccise una sua serva per averle rotto ambe le gambe, restando pure ferito detto sacerdote assieme con sua madre ed altre persone che seco commoravano. Vennero molti soldati feriti nelle trinciere, avendo restato altri uccisi cossì per le bombe con pietre, come per colpi di schioppi disparati.

16 febbraio 1719
Una bomba centra il piazzale della chiesa di S. Maria della Pietà, ove si trovavano soldati austriaci ed italiani rimasti illesi. Altra bomba cade davanti la chiesa di S. Maria la Catena. La chiesa della Pietà viene bombardata nuovamente sino alla sua completa distruzione con tanto di saccheggio, causando il ferimento d’un tenente del reggimento Saluzzo A 16 febraro. Oltre il disparo di molte cannonate e di bombe d’una parte e l’altra, che continuarono dal mattino sin a sera, una bomba diede nel piano della chiesa di Santa Maria della Pietà, vicina e collaterale delle mura della città, attaccata alla porta di Messina. E crepata in detto piano, qual era di molte truppe di soldati - e tudeschi ed italiani di Piemonte e Savoia - per esservi corpo di guardia principale, tutti li pezzi di detta bomba diedero in quel circuito senza danneggiare ad alcuno. Altra bomba diede innanzi la porta maggiore della chiesa di Santa Maria la Catena e, crepata in quel luogo ove si retrovavano molte persone paesane, nessuna di esse fu colpita.
Una palla di cannone entrò nella chiesa mentionata della Madonna della Pietà. E per aver giorni passati entrato altre palle, con questa tutta la chiesa si precipitò. E benché in essa residesse il corpo di guardia delle truppe di Piemonte e Savoia con molti officiali ed un tenente del regimento di Salluzio nomato monsignor Avellino, quale solamente restò ferito molto grave, dubitandosi della sua salute. Il che, osservato da molti altri soldati, non avendosi alcun riguardo nemeno all’onor della Madre di Dio, che in detta chiesa si venerava, di subito assassinarono tutta la chiesa, togliendogli e tavole, e travi, e legnami, discoprendola dell’intutto, con aver rimasto solo le mura benché disfatte.

Scoppia un’epidemia tra i cittadini ed i soldati a causa delle pessime condizioni igieniche, cui conseguono numerosi decessi. Il seppellimento (in diversi punti della città e dentro fosse poco profonde) dei soldati deceduti per infermità o caduti in battaglia comporta gravi problematiche igienico-sanitarie ed il proliferare dell’epidemia, costringendo i comandanti ad ordinare lo scavo di fosse più profonde. Si stima il decesso di ben 10.000 militari, tra austriaci ed italiani, a causa sia di epidemie che di ferite e morti in combattimento. Si stima altresì la morte di circa 600 cittadini Continuavano guagliardamente nella città molte febri maligne, cossì nelli paesani come nelle truppe, con gettarsi dall’infermi quantità di vermini dalla bocca e correndo quantità di parotide pestilenziali. Tanto che chi cadeva ammalato difficilmente si guariva. E quei che superavano il morbo restavano per molto tempo convalescenti e senza forze.
Apparendo esservi con evidenza pratticata infezione d’aria, successa per le molte immondizie in mezzo le strade ancorché principali. Ed inoltre per la mortalità di molte persone, tanto che le fosse nelle chiese erano tutte piene di cadaveri, arrivando a sepellirsi tra li paesani ed uomini e donne unitamente per necessità in un medemo luogo. E nella chiesa de’ Padri Domenicani non puotevano alcuni sepellirsi con esser remasti per mancanza di fossa.
Inoltre la maggior parte, anzi tutti quei soldati che morivano o per infermità o per essere stati uccisi per qualunque occasione, si solevano sepellire in mezzo la città in luogo bensì remoto, sopra il monte, sotto le mura della Cittadella fori la Porta del Capo, ed altri fori la città pochi passi. Ed il peggio era che gli cadaveri erano riposti quasi sopra terra, facendosi alcune fosse di poca profondità: perloché di molti appariva alcuna porzione e si disse, e si vidde, che in molte parti avessero banchettato gli cani. Perloché facilmente tanta putredine infettò l’aria. Perloché fu necessario dagli signori comandanti darsi ordine che si facessero le fosse più profonde.
Come pure per aversi quasi da tutti gli cittadini generalmente magnato il pane di malissima qualità, con farine di luppini, orgi, grani d’India ed altri consimili, carni salate di porco, pesci pure salati, vini salati, vini conciati, tutti di malissima qualità.
Oltreché per il continuo timore della morte, standosi con l’animi sospesi, colmi di molte e diversi afflizioni, angoscie e dolori, facilmente si venia a corrompersi il sangue, perloché si generarono morbi così maligni. E finalmente gli poveri soldati - continuamente travagliando di giorno e notte al freddo ed all’acqua senza quiete, e mangiando pane di pessima qualità, con un puoco di sale, e bevendo acqua - per ogni maniera si dovevano generare nelli loro corpi simili infermità così pudrite e maligne. Onde sino a quel tempo, giusto il calcolo fatto, perirono delle truppe tedesche ed italiane con molti loro officiali, tanto d’infermità di febre e di ferite, da diecimila, compresi gli uccisi nella battaglia ed altri. E delli abitanti di questa da seicento nella città e nel Capo.
Le scandalose prestazioni dei medici milazzesi in tempi d’assedio. In città rimangono soltanto cinque medici, ritiratisi al Capo per timore ad accezione di due operanti invece nel centro cittadino. Questi ultimi  - il sacerdote Francesco Nobile, medico militare dei Piemontesi, ed il giovane Francesco Ragusa - lucrano sulle visite agli infermi, pretendendo pagamenti esorbitanti anche da parte dei poveri. Uno dei due favoriva un parente farmacista (aromatario) indirizzandovi i pazienti Avendosi osservato che molti passarono all’altra vita per mancanza di medicamenti, specialmente le truppe tudesche e l’altre, poiché l’istesso puzzare della stanza, ove si ritrovavano affollate, l’uccise. Anzi molto si patì nelli cittadini, specialmente non puotendo nemeno un galantuomo infermo aver un medico per curarsi. La cagione fu che, trattenendosi nella città cinque medici fisici, il sacerdote Don Francesco Nobile, Don Giovanni Battista D’Amico, Don Francesco Zanghì, Don Francesco lo Monaco, e Don Francesco Ragusa, e per le contingenze nella sudetta guerra (come s’ha espressato), tolti quei di Nobile e Ragusa, gli altri s’avevano retirato nel Capo. Il primo di questi due molto infermo abituale e l’altro assai giovanetto. Ed entrambi due timorosi per il disparo delli cannoni e bombe, colle quali molti restarono uccisi, tanto che non volevano dar un passo nella città per medicare gli infermi. Bensì spesse volte, a preghiere degli amici, facevano alla sfuggita alcune visite nella città dalla parte superiore nel Borgo, Marina e Cittadella, con il pagamento molto pingue. Ma il Ragusa voleva in ogni modo per ogni uscita nella parte inferiore tarì dodeci, che per due volte il giorno erano al doppio; e nella parte di sopra almeno tarì sei per visita.
Inoltre s’asserì che il medemo, per far lucrare il sacerdote Don Giuseppe Galletti, aromatario, non facea ricette né per le strade e nemeno nelle case dell’infermi. Ma col pretesto che quello doveva ordinare non si retrovava in altre speziarie che in quella del Galletti suo avo, tutti gli infermi conduceva ove questo. Ed il peggio era che ordinava medicamenti coll’assertione d’esser fatti a sua intenzione, né galenici né spargitrici. E di più alcun altro medicamento che fosse stato di molto prezzo per guadagno dell’avo. E che gli altri aromatarij avrebbero rappresentato le loro giustificate ragioni agli superiori per darsi la providenza necessaria, se non s’avesse stato in questo tempo con tanti pericoli instantanei.
Il Nobile, doppo, se un giorno si faceva a vedere, per molt’altri remaneva sequestrato in casa o per la sua infermità o per il grave timore: e cossì come si potevano guarire gli poveri infermi? E ciò nonostante, allettati entrambi dal lucro, molto si provecciarono, magiormente per esser il Nobile medico ordinario dell’ospedale di tutti gli Piemontesi e Savoiardi, con grosso salario il giorno. Il che si verificò specialmente dal Ragusa, il quale avendo andato in casa d’una povera paesana, ove era infermo un marinaro napolitano, per tre sole visite volse diecesette tarì. E chiamato nel passaggio per osservar una poveretta nominata Domenica Giordano ed Imbiddi, inferma giacente in un pagliaccio dentro un casaleno senza tetto, solo coperto in un angolo per essere stato dirupata la casa (che prima esisteva) dalli soldati, volse tarì sei, con tutto che fosse stata la povera donnicciola con quattro figlie minori e vedova, per esserli stato Fortunato Giordano - suo marito - ucciso nella presente guerra d’un calabrese nominato Alessio [segue lacuna nella copia, ndr] per controversia di pochi grani richiesti dal sudetto per il suo travaglio, e la povera avesse stato giornalmente questuando l’elemosina colle figliuole nelle chiese. Tutto ciò si sussurrò in città puol essere impostura de’ suoi emoli. [Al margine del manoscritto viene riportata la seguente raccomandazione, ndr: Sarebbe bene togliersi la diceria contro li fisici, con tutto che fosse la verità, poiché si deve aver riguardo che alle volte il vero noce propalandosi]        

                                                                                                                        

Anche gli altri tre medici rifugiatisi al Capo lucrano sulle visite, pretendendo due tarì al giorno anche dai poveri. Mentre prima dell’Assedio percepivano ordinariamente un solo tarì al giorno, col quale eseguivano una visita mattutina ed una serale. E non manca tra loro chi favorisce l’aromatario di fiducia L’altri tre medici che erano nel Capo, addottrinati dalli primi due medici e per lucrarsi, pure medicavano, volendo da qualunque plebeo - ancorché povero che viveva col solo braccio - tarì due il giorno. Del che si potea far congiuntura per quei che erano d’altra condizione, il che rassembrava insoffribile. Solamente quello D’Amico, venuto in città un puoco infermo, non attendeva a visitare gli infermi, commorando nella Marina da dove non molto si dippartava per il timore e spavento delle cannonate e bombe, perloché molto fu differente dall’altri. Soggiungendosi che retirato il Zanghì dal Capo, s’unì col Ragusa, che non s’andasse a medicare gli infermi se non se li dava la paga esorbitante, coll’assertione che prevaleva il timore della morte che gli poteva in ogni momento sovravenire camminando per le strade. Alla più grossa paga che se li contribuiva per far la visita all’infermi. E tutti non si raccordavano. Che, pria, ogni qualunque infermo non pagava al medico più di tarì uno al giorno con ricever due visite mattina e sera, il che era l’ordinario pagamento sempre stilato. Di più si vociferò che se il Ragusa con molte invenzioni pretendeva che l’avo si provecciasse, esclusi gli altri aromatarij, il Zanghì voleva che li medicamenti da esso ordinati s’avessero preso nella speziaria da esso determinata, o per inchinazione o per affezione, o - come alli mali intenzionati sembra più adeguato - per provecciarsi tutte due. Per onde si può facilmente presupponere con qual cura si governava gli infermi, essendo nel fervore della guerra.

Decessi di numerosi soldati a causa di servizi sanitari inadeguati ed insufficienti Oltre li sudetti fisici non esisteva in città alcun altro per guarire così innumerabili truppe, avendo solamente queste per ogni reggimento il suo chirurgo. Quali tutti condussero da Napoli e Calabria alcuni medicamenti composti, specialmente quei attinenti alla chirurgia. E così gli poveri infermi soldati tedeschi e febricitanti dovevano perire. Di più li sudetti nostri fisici, volendo attendere alla cura di tanti infermi così cittadini come esteri, nemeno potevano dar picciola sodisfazione, poiché da principio due assistevano in città e comparevano poche volte ed il Nobile in ogni modo era tenuto visitare l’ospedale delli soldati nella Matrice (per ordinario più di duecento, oltre la sua infermità e timitidà) e l’altro di Ragusa circondando tutta la città: e cossì qual metodo si poteva ritrovare nella infermità?

Farmaci somministrati dai tre medici fisici tornati dal Capo e dai chirurgi in servizio presso ciascun reggimento Doppo, retornati l’altri tre dal Capo, quello D’Amico sempre si fermò in casa, nemeno volse andar a guarire li congionti stretti. E l’altri due del Monaco e Zanghì non potevano assistere, e l’infermi erano molti e molti. Onde per curiosità s’osservò che nelle loro ordinazioni altro non esercitano per trattenimento (tolto quello d’Amico, qual realmente non attendeva a medicare) che lingua di San Paolo e nitro stibiato dentro un puoco di sciruppo di papavero o portulaca.
E perché nell’epidemia pure concorsero alcuni morbi di dissenteria aggiungevano il corallo rosso, terra sigillata e corno di cervo preparati e mai pratticarono né cordiali, ne elettuarij e polveri gemmate, né sudoriferi, né vessicanti, né opiati, nemeno purganti, tanto che da essi mai si fece alcuna esperienza. Almeno li chirurghi delle truppe s’adopravano a viva forza dispensare agli loro infermi molto farmaci, cordiali, sodoriferi, opiati, vessicanti ed altri proporzionati agli morbi. Infine quello d’Amico, nel tempo che azzardò con più franchiggia a medicare, dispensava gli medicamenti col metodo conveniente al morbo che occorreva.

17 febbraio 1719
Partenza per Napoli del barone Graveuthech. Sospensione inaspettata dei bombardamenti durata circa tre ore. A 17 febraro. Determinò il signor Baron de Graveuthech, generale del reggimento di Parrauth, di partire per Napoli per aver imbarcato tutto il suo bagaglio. Alcuni dissero per d[i]ssapori con altri officiali tedeschi, altri per urgenze necessarie al servizio reale ed altri per genio proprio. In questo giorno s’ottenne alcuna triegua nel disparo dei cannoni e gettito di bombe per ore tre in circa, il che s’attribuì ad un portento, non avendosi possuto penetrare il motivo d’onde avesse derivato questa tranquillità nelli poveri cittadini.

Si tiene il consiglio di guerra per quattro soldati austriaci che tentarono di fuggire verso il campo spagnolo: vengono condannati a morte, ma solo uno sale sul patibolo; gli altri tre vengono graziati e destinati a lavorare nei punti più esposti delle trincee Il giorno antecedente pretesero quattro soldati tedeschi passar nel campo spagnuolo colla fuga. Si scoperse il loro trattato ed in questo giorno si tenne consiglio di guerra. Furono tutti condannati alla morte, bensì contro uno solamente s’esercitò il patibolo mortale; e l’altri tre per grazia furono condannati al continuo travaglio per un mese nelle trinciere in luogo molto esposto - al pericolo della vita in ogni momento - al disparo de’ schioppi delli nemici.

18 febbraio 1719
Il priore domenicano Fra Pietro Martire Iaci, nella Piana dal mese di ottobre per le vendemmie, riferisce al generale Zumjungen di essere sbarcato al Capo la notte precedente, insieme al contadino Domenico Maiorana, da una barca di alcuni marinai di Lipari, allo scopo di raggiungere il suo convento di Montalbano dopo aver fatto però ritorno al campo spagnolo. La versione non convince i comandi austro-piemontesi: sospettato d’essere una spia, viene imprigionato al Castello assieme al Maiorana A 18 febraro. Comparì ben mattino in città il Padre lettore fra Pietro Martire Iaci, domenicano Priore in questo suo convento, per far la presentata innanzi il signor generale Zumjunghen, comandante. Per essere stato detto padre nella Piana dal mese ottobre scorso col permesso scritto dal signor Missegla, comandante, per vendemiarsi le vigne, assieme con altri due fratelli. E toltasi la communicazione coll’assedio, arrestato dal quel tempo nel campo spagnuolo. Riferì al signor generale sudetto, colla presenza del signor Missegla comandante nella Piazza, aver la notte antecedente disbarcato nel Capo di questa città, nella ripa di sotto la chiesa della Santissima Trinità, unitamente con Domenico Maiorana, villano di questa, quale ancora si ritrovava in detta Piana dal tempo della vendemia. Condotto in detto scaro con una barca d’alcuni marinari di Lipari, col regalo d’alcune doble d’oro di lasciarlo in detto luogo. E doppo retornarsene nella Marina, ove resideva detto campo [spagnolo, ndr], avendo motivato in quello che voleva trasferirsi in Mont’Albano nel suo convento. E non puotè più innanzi ottener l’intento, che in detta notte e che, disbarcatosi col Maiorana, gli marinari con la detta barca se ne retornarono.
Intese il signor comandante la relazione del Padre con quella del villano, qual si rese uniforme, e non ricevette sodisfazione adeguata, rassembrandoli falsa l’attestazione. Nondimeno rimesse il negozio al signor Missegla, come più prattico in città da più tempo. Il quale, reflettendo la venuta del Padre nella Piazza - cogli nemici di nottetempo e furtivamente - puoter essere di qualche conseguenza e molto pregiudiziale al servizio reale, per politica di Stato ordinò che il Padre assieme col Maiorana, villano, fossero trattenuti in carceri nel Regio Castello, separati e serrati, anzi colle guardie presenti ed a vista, sequestrati da qualunque persona.
La venuta di questo Padre apportò e fece grandissima impressione così al signor generale tedesco, come al signor comandante Missegla, che forse fosse stato inviato dalli Spagnuoli per spia. Tanto che nell’istante si diede ordine che nello scaro sudetto di sotto la Trinità, ed altre parti convicine, stassero molti soldati e di giorno e di notte colla premorosa guardia. E dupplicata, assistendo pure continuamente un capitano tedesco per capo.

Allo scopo di strappargli una confessione, il religioso viene minacciato con l’esilio Si disse che detto Padre Iaci s’avesse molto imbrogliato nel racconto della sua fugiasca partenza. E con tutto che s’avesse conosciuto la sua ignoranza, nondimeno fu necessario in simile successo starsi con molta attenzione, per aversi spesse volte fatto simili tentativi dagli nemici in tempo di guerra. Inoltre si publicò che al Padre, per esplorarsi il vero, l’avrebbero dato la corda e di più che sarebbe stato rimesso in Napoli esiliato. E benché s’avessero dato più memoriali al signor comandante per liberarsi il Padre, non comparì provista alcuna. S’ottenne bensì - trascorsi alcuni giorni - dal signor Missegla che puotesse stare detto Padre nella stanza, ove era trattenuto, colla porta aperta e colla communicazione di parlar palesamente cogli soldati e trattenuti in detto Castello. E ciò nonostante, non avendo riguardo a tal agevolezza, volse discorrere con alcuni marinari liparoti, che erano prigionieri. E di più richiese al capo della guardia che li procurasse un calamaro per scrivere. Il tutto riferitosi al signor comandante Missegla, questo ebbe più motivi di sospezione, perloché ordinò che si serrasse la porta della stanza, con aversi più custodia di prima del detto Padre. Avendolo trattenuto in carceri serrato per più tempo, sino che fu scarcerato come si dirà in appresso.

Considerazioni del Barca, il quale afferma che se il Priore Iaci avesse raccontato  la verità, confessando di essere stato trasportato a bordo della barca di padron Federigo, piuttosto che dai suddetti marinai di Lipari, avrebbe goduto di un trattamento di gran lunga meno duro del carcere Che il Padre Iaci havesse sofferto cossì gravi afflizioni col pericolo di provarne de’ maggiori, ciò processe per la sua propria melensaggine. Poiché in azzioni di molta conseguenza sempre s’ha sperimentato, specialmente in casi toccanti alla politica di Stato, che confessandosi il vero, ancorché fosse alquanto pregiudiziale al confitente, li recarebbe meno nocumento. Ed allora che volendo demostrarsi sagace col falso, si scuoprirsi esser bugiardo. Poiché si ricerca una esquisita prudenza nell’invenzione d’un successo imaginario e non sussistente, non puotendosi ciò attestare nel detto Padre, poiché mai s’esercitò in consimili trattati. Inoltre se s’avesse consultato con persone perspicaci, forse non avrebbe inciampato nell’errore che pratticò per la sua dapocaggine. Doveva lui schiettamente confessare innanzi al signor generale comandante essere stato condotto sopra una barca del Padron Giuseppe Maria Federigo, paesano di questa città, qual si retrovava con detta sua barca nella Marina di Ponente vicino al campo. Ed in un’ora valicò sin allo scaro di sotto il monte della Trinità e disbarcò col Maiorana: la barca se ne retornò dove avea partito, come realmente sortì, e non inventar essere stato trasportato da Liparoti, onde giustamente patì.

Durante la notte gravi scontri causano la morte di molti soldati nelle trincee, seppelliti in prossimità delle stesse trincee (a differenza degli ufficiali sepolti nelle chiese). Di tali decessi non viene reso noto il numero al fine di non intimorire le truppe. La notte trascorsa fu molta la batteria d’una parte all’altra tanto di cannoni, come di bombe. Col disparo di quantità di schioppi nelle trinciere, restando molti soldati uccisi ed alcuni feriti. Non avendosi saputo il numero, perché li morti si sepellirono ivi vicino senza condursi in città, per non intimorirsi gli soldati remasti; tolto gli offiziali, li quali per convenienza si trasportarono nelle chiese, facendosi l’essequie con alcun decoro.

Una palla di cannone colpisce la casa di Teresa Monforte e ferisce al naso mastro Antonino Caragliano, intento a radere il sacerdote Don Saverio Nastasi. In detto giorno ben mattino pervenne una palla di cannone disparata nel forte della Tonnara sino all’Ospidale nella Marina, in casa di Teresa Monforte, vedova del fu Alberto di Napoli. Perforò il primo muro e, passando l’altro, una pietra del medemo muro ferì a maestro Antonino Caragliano nel naso, il quale stava levando la barba al sacerdote Don Saverio Nastasi. E fu un portento non aver sortito altro danno, essendo la casa (benché angusta) piena di molti paesani.

19 febbraio 1719
Un disertore spagnolo racconta, tra tante bugie, che gli Spagnoli stanno per assaltare la città. Si discute in consiglio la causa del domenicano Padre Iaci A 19 febraro. Venne un desertore spagnuolo dal campo. Racconta molte bugie. Tra l’altre, che gli Spagnuoli stanno provisti in tutto per darsi l’assalto alla città.
Si discorse in consiglio la causa del referito Padre Iaci, domenicano. Ma per quello che si puoté penetrare, si publicò che nell’instante  che esso venne colla barca in questa città (come si disse) fu del tutto raguagliato il signor comandante Missegla, non per agevolarlo colla liberazione, ma per discreditarlo nell’azzione fatta. Per certo che l’emulazione derivò nel suo proprio convento si rimette al vero.

Lo Zumjungen dispone, insieme agli altri generali ed ufficiali, che tutte le truppe vengano condotte nelle trincee a causa del timore di un assalto nemico, in conformità a quanto riferito dai disertori. Ma anche perché durante il Carnevale i soldati delle truppe imperiali sono soliti alzare il gomito: tenendoli impegnati non si rischierà dunque di farli ubriacare, abbassando conseguentemente la guardia. Dal Vespro sino la sera dal signor generale Zumiunghen - assistito dalli altri signori generali ed officiali, assieme dal signor comandante Missegla - s’attese a farsi molte prevenzioni militari. E sul tardi tutte le truppe tudesche ed italiane - cossì di cavalleria, come di fanteria - tutte squadronate, si condussero nelle trinciere, avendo solamente remasto li posti guerniti in città. [Ciò] per il timore che dalli Spagnuoli non si desse l’assalto generale, col motivo che più desertori l’abbiano confermato. Ed inoltre per la presupposizione che li tedeschi nell’ultimi giorni di Carnevale sogliono bevere molto vino: e così facilmente s’avrebbero ritrovato fori di sensi e storditi.

20 febbraio 1719
Il temuto assalto non si verifica, ma si susseguono bombardamenti e colpi di fucile che provocano la morte ed il ferimento di molti militari. Una bomba colpisce il chiostro del convento di San Domenico, costruito impiegando pietra pomice 20 febraro. In questo giorno non seguì l’assalto, come infallibilmente si presupponeva. Bensì sieguirono molte bombe nella città e pietre nelle trinciere. Oltre il disparo di migliara di scopettate in esse e delli cannoni nella città, succedendo sempre mortalità di soldati con altri feriti. Tra l’altre bombe, una diede nella parte superiore del claustro del convento di San Domenico: e solamente fece nell’astrico un grande buco, avendo crepato senz’alcun danno. Ciò seguì per causa che detto claustro è ben fatto di pomici, se non fosse stato per miracolo della Madre di Dio del Rosario.

Due disertori spagnoli di Maiorca giungono a nuoto nudi, riferendo che nel loro campo - ben fornito di viveri - si pensava ad attaccare Porta Messina. Non si arruolano nelle truppe austro-piemontesi, ma preferiscono andare a Napoli La notte precedente vennero due desertori spagnuoli maiorchini per mare a nuoto, tutti ignudi, avendo fatto miglio uno e mezzo nell’acque. Riferirono solamente ritrovarsi nel campo ogni sorte di viveri. E richiesti se volevano prender partito, ricusarono. E vogliono retirarsi in Napoli, ove avrebbero fatto la determinazione a loro talento. Di più affermarono che li Spagnuoli pretendevano battere la città dalla parte ove esiste la Porta di Messina e d’impossessarsi di essa.
Fu così guagliardo il disparo delle scopettate nelle trinciere nella notte che restò ucciso un soldato. E 19 altri feriti con pericolo della vita.

21 febbraio 1719
Il vascello S. Leopoldo ed una tartana - carichi di prigionieri e provenienti da Napoli - approdano al Capo 21 febraro. La notte passata approdò nel Capo la nave San Leopoldo con una tartana partite da Napoli, che conducevano li prigionieri. Nelli quali vi erano venti Spagnuoli e pure due signore dame, una moglie d’un sargento maggiore e l’altra d’un capitano. [Ciò] ad effetto di farsi il cambio. E dette dame furono fatte prigioniere con altri nel Faro di Messina, da dove furono trasportate in Napoli.

Continuano i bombardamenti d’ambo le parti. Nelle trincee tre soldati rimangono uccisi ed otto gravemente feriti, tutti a causa dei mortai petrieri Vi furono, oltre il disparo di cannoni, molte bombe d’una parte e l’altra. E di più nelle trinciere si dispararono molti mortari di pietre, perloché tre soldati restarono uccisi ed otto malamente feriti. E le bombe disparate in città creparono in aria senza danno di persone.

Armistizio per consentire lo scambio dei prigionieri. Il sacerdote Tommaso Terranova ed il fratello Ottavio consegnano al comandante Missegla una lettera con del denaro al fine di farla recapitare alla cugina Teresa Colonna. Terminato l’armistizio riprendono i bombardamenti. Il tenente piemontese conte La Torre, di pattuglia con alcuni soldati, viene catturato e quindi spogliato della divisa da un soldato spagnolo che la indossa per disertare il proprio campo  Ad ore sedeci in questo giorno seguì l’armistizio per causa del cambio delli soldati d’una e l’altra parte, partendo dal Capo una tartana con molte barchette cariche d’officiali spagnuoli e soldati al numero di 200. Ed essendo vicino la ripa verso il molino del convento di San Francesco di Paola, uscirono da detta ripa altre barche piccole, sopra delle quali imbarcarono detti spagnuoli che erano sopra la detta tartana e l’altre barche.
Perloché molti paesani che erano sopra dette barche parlarono con molt’altri compatrioti, quali residevano in detto campo [spagnolo, ndr], tra l’altri vi fu il sacerdote Don Tomaso Terranova con suo fratello signor Ottavio, quali diedero una lettera al signor comandante Missegla con quattro doble per farle capitare alla signora Donna Teresa Colonna, loro coggina.
E si stavano aspettando da Messina gli prigionieri tedeschi e di Piemonte e savoiardi, per farli capitare in questa città secondo il cambio concertato. Finito la sera al tardi (retornati gli spagnuoli prigionieri al campo) l’armestizio, principiò guagliardamente il disparo de’ cannoni con bombe e la notte non cessarono gli mortari di pietre, con quantità di scopettate nelle trinciere. E ritrovandosi di guardia in esse il signor conte La Torre, tenente piemontese, con altri soldati, facendosi una battuglia, restarono esso tenente con tre soldati prigionieri per essere stati assaltati dagli spagnuoli. E spogliato il tenente dalli vestimenti d’un soldato spagnuolo, allorché seguì la sua prigionia, il medemo nell’istesso tempo desertò dal campo sudetto, con aversi conferito nella città con li vesti del tenente. Bensì, il giorno seguente, fu il conte cambiato e la medema notte fu ucciso un soldato in dette trinciere, con aver restato altri undeci feriti in dette trinciere.

Il Marelli, comandante del Castello a Mare di Palermo, dopo la conquista della fortezza da parte degli Spagnoli, viene processato a Siracusa e fucilato pubblicamente. Stessa sorte tocca al capitano Baratti, anch’esso di servizio in quel Castello. Così come il capitano Ventimiglia, degradato ed imprigionato, ed il capitano d’artiglieria La Vigna, esiliato Venne notizia veridica che Monsù Marelli, il quale era comandante di Castello a Mare in Palermo, allorché li Spagnuoli l’assaltarono colla conquista di esso, fosse stato processato in Siragosa per la resa seguita del detto castello senza aversi fatto breccia alcuna. Con esser condennato nella vita, tanto che morì passato publicamente per l’armi. Come pure monsignor Baratti, qual era capitano in detto castello, conseguì la medema pena. Il capitan Ventimiglia con monsignor la Vigna, capitano d’artegliaria, che furono uniti nel castello sudetto, pure furono puniti, il primo con esser degradato dal posto colla condanna di più di quattro mesi di carceri, il secondo privato del suo posto con l’elisio perpetuo delli stati del Re Vittorio Amedeo. Avendosi fatto tal condanna d’ordine del vicerè Maffei nella città di Siragosa, ove resideva. E benchè non avessi mai preteso di raguagliare altri accidenti della presente guerra, solo quei che successero in questa città, nondimeno notai il presente, poiché dalla resa di quel castello principiarono l’afflizioni che si patirono da questi cittadini, colla perdita d’alcuni nella vita, e delli proprij beni da tutti generalmente.

22 febbraio 1719
Soldato spagnolo diserta dal campo e riferisce che l’esercito spagnolo intende assaltare la città. 22 febraro. Desertò dal campo nemico un soldato spagnuolo. Disse che si pretendeva assaltare la città dal suo esercito affinché si conseguisse la vittoria, ancorché colla perdita della maggior parte di esso. Il sudetto desertore molto patì nella fuga per essere stato discoperto. E molte volte pericolò la vita per la quantità delle scopettate che li furono disparate, sino che pervenne in città. E rassembrava un cadavere per il timore e spavento avuto. Ma per fortuna restò illeso senz’alcun danno. Non volse prender partito, asserendo aver intenzione di passar in Napoli.

Bomba esplode davanti alla chiesa di Santa Caterina senza provocare vittime e danni Tra l’altre bombe gettate in città, una crepò innanzi la chiesa di Santa Caterina. E con tutto che vi fosse copiosa quantità di persone cittadine e soldati tudeschi ed italiani, e di napolitani e calabresi che vendevano molti viveri, non seguì danno alcuno.

Si precipita una delle facciate di Palazzo Baeli, colpito varie volte da bombe e cannonate. Soldati morti e feriti a causa dei bombardamenti a tale palazzo in cui erano acquartierati. Una bomba colpisce la casamatta costruita all’interno dello stesso palazzo dal generale austriaco Ros per meglio tutelarsi dalle artiglierie nemiche Da più tempo che il palazzo grande nominato di Baeli nel piano del Carmine è stato rovinato per la quantità di bombe e cannoni disparati dalli fortini delli Spagnuoli, cossì d’innanzi di Levante come da parte da dietro di Ponente, con avere restato molti soldati uccisi ed altri feriti per essere stato quartiero di essi. E tutta la facciata che è nella parte di Scilocco e Libeccio del detto palazzo è precipitata al suolo. E benché nel medemo pure abitasse il signor generale Ros, tudesco eretico, con aversi fatto una casamatta dalla parte di tramontana per non patir alcun accidente, pure una bomba venne sopra detta casamatta e molti pezzi di essa penetrarono sino al suolo nella camera ove stanzava il signor generale sudetto. E per sua fortuna si retrovò fora di essa, altrimenti avrebbe patito alcun sinistro incontro. Forse per essere molto elemosiniero (benché eretico) Dio volse preservarlo per redursi alla nostra catolica fede.

Una bomba centra la casa del sacerdote Giuseppe Galletti mentre pranza con la famiglia. Tutti rimangono miracolosamente illesi malgrado la distruzione della casa Altra bomba a mezzogiorno diede nella casa del sacerdote Don Giuseppe Galletti, nel quartiero della Marina, in tempo che si ritrovava magnando con tutta la famiglia. E crepata in casa, con averla tutta fracassata, nessuna persona conseguì alcun danno. Il che s’attribuì a grande portento di remaner tutti illesi, e la casa disfatta.

Cinque soldati spagnoli disertano il campo, ma la loro fuga viene intercettata S’intese una batteria di schioppi nelle trinciere delli Spagnuoli ed osservatasi la causa si vidde che desertarono dal campo nemico cinque soldati, li quali furono scoperti nella fuga. Perloché si dispararono le scopettate. Tanto che remasto uno dei detti soldati in mezzo delle trinciere d’ambe le parti ucciso, gli altri vennero in questa molto spaventati; e due di loro feriti.
Dal qual motivo non cessò il fuoco delli cannoni col gettito di più bombe contro la città sino la sera, col danno di più e più case demolite. E pure tutti li bastioni di questa fecero l’istesso contro il nemico, avendo rimasto uccisi più e più soldati con altri feriti nelle trinciere, specialmente colle pietre gettate e palle di scopettate nella notte.

Due soldati milanesi fuggono dal campo spagnolo, annunciando l’arrivo imminente d’un battaglione Con tutto il bisbiglio d’ambe parti, per sì grave fuoco fatto, azzardarono altri due soldati milanesi, fuggendo dal campo spagnuolo in questa città senz’alcun danno. Riferirono che era partito un battaglione per conferirsi nel campo spagnuolo, parte per terra e parte per mare. Bensì il bagaglio retornò per terra per timore di non esserli preso.

23 febbraio 1719
Il conte La Torre oggetto di scambio di prigionieri. Ma uno dei tre soldati catturati assieme a lui si arruola nell’esercito spagnolo 23 febraro Quest’oggi monsignor La Torre, qual rimase prigioniero con tre soldati il giorno passato (come si scrisse), fu cambiato. Raccontò che, delli tre soldati con esso presi, uno fu ucciso mentre seguiva la prigionia, volendosi defendere, altro prese partito nelli Spagnuoli e l’altro col medemo tenente cambiato.

Quindici marinai fuggono con un battello dal campo spagnolo. All’alba giungono in città e vengono arrestati. Rilasciati dopo due ore, riferiscono che nel campo c’è abbondanza di viveri e gran numero d’infermi. Con un battello dalla ripa del mare, ove resideva il campo Spagnuolo, se ne fuggirono la notte scorsa quindeci marinari di questa città. Et all’alba si conferirono in questa. La magior parte delli quali avevano da più tempo navigato sopra una tartana del signor Don Fiderico Lucifero, lasciata in Messina col padrone di essa nomato padron Giuseppe di Napoli [e] con altri due marinari. E l’altri, venuti per terra in detto campo, procurarono retirarsi nella Patria, avendo conseguito l’intento la sudetta notte, nomandosi sudetti marinari che si retirarono Antonino di Pascale [segue lacuna nella copia, ndr]. Furono tutti posti in prigione. Doppo, subito trascorse ore due nel medemo giorno, furono liberati. Riferirono esservi nel campo grandissima abbondanza di viveri e retrovarsi molti infermi nel campo [stesso].

A bordo di una tartana vengono trasferiti in Calabria i religiosi trattenuti nel convento di S. Domenico per ordine del generale Zumjungen. Fu speciale il fuoco delli cannoni colle bombe disparate dalli spagnuoli dal mattino sino la sera. Altretanto seguì nelli nostri bastioni. Si credette esservi stata disfida tra l’eserciti per chi avesse possuto dispararne più, poiché continuamente non s’attese ad altro. Tanto che poche strade nonché case restarono senza provarne. E la notte pure continuò il disparo di quantità di schioppi nelle trinciere, col gettito di molte pietre, onde restarono alcuni soldati morti ed altri feriti; ed altri stroppiati di malissima maniera. E la sera del medemo giorno furono imbarcati e condotti in Calabria sopra una tartana il Padre Predicatore Generale Domenicano, con li due giovani del medemo ordine, come pure il Padre Cappuccino col suo fratello, che erano trattenuti nel convento di San Domenico d’ordine del signor generale Zumiunghen, comandante tudesco (come si descrisse). E non si poté penetrare la causa.
Per certo che la ragione di Stato, specialmente in tempo di guerra, s’esercita con ogni riguardo. E spesse volte s’osserva procedere molto differente da quello che s’attende. Poiché per il più molti delinquenti non sono puniti ed alcuni innocenti castigati per sola politica di Stato. E ciò si stima necessario, altrimenti non persisterebbero gli dominij. Solo si può affermare che li sudetti religiosi erano di molta esemplarità: se poscia s’avesse penetrato cosa in contrario per li sudetti, si rimetta a chi comandava.

24 febbraio 1719
Due milazzesi fuggono a nuoto dal campo spagnolo, riferendo la notevole mortalità di quei militari 24 febraro. La notte precedente, non comparsa l’alba, arrischiarono Padron Antonino Buccafusca, alias Capitanello, ed Orazio Pitretta fuggirsene dal campo spagnuolo in questa città, avendo venuto dalla ripa del mare dalla parte di scilocco a nuoto per mare. E benché fossero stati con molto spavento e timore, valicando nell’onde molto spazio di tempo per aver fatto da miglio uno e mezzo sempre nell’acque, nondimeno s’intesero consolati per aver retornato nella Patria. Poiché da più mesi erano stati sequestrati nella Piana seguito l’imbrocco dalli Spagnuoli. Riferirono questi che nel campo vi era grandissima mortalità di soldati, correndo gravissime infermità. 

Il vento impetuoso provoca l’abbattimento di alcuni fabbricati, soprattutto di quelli sprovvisti di tetto prelevato in precedenza dalle truppe austro-piemontesi Occorse la notte istessa un vento da libeccio a Ponente così gagliardo che si credeva infallibilmente di precipitarsi tutte le case in città, non puotendosi star sicuro nelle stanze più remote, nonché darsi un passo nelle strade per timore di non puotersi nemeno star in piedi o non restar acciecato per la povere che andava per l’aria, o trucidato di alcuna pietra o mattone che cadevano da dette case. E con tutto che avesse seguito l’acqua, che mitigò un puoco il vento furioso, nondimeno continuò questo per tutta la notte seguente. E la sera del medemo giorno cadettero sin al suolo più case nella Cittadella, specialmente quella solerata del signor Don Francesco Martines sopra la Porta di Santa Maria, tutta di calce e rena, nella quale restarono morti ed uccisi cinque soldati tudeschi ed uno ferito, li quali con altri erano aquartierati nella medema casa. Inoltre in detta Cittadella si precipitarono la casa del sacerdote Don Fortunato Vecchi, nel quartiero della Matrice chiesa, quella del signor Don Domenico Ponze de Leon, nel quartiero dell’Annunciata, e quella del clerico Giuseppe Picciolo, nel quartiero di sotto la Piazza. Nel Borgo si dirupò la casa di Rosalia La Sala con aver in essa morto un soldato tudesco e molti restarono feriti, essendo quartiero di essi soldati. Di più molte altre case nella Marina, alle quali s’avevano tolto li travi e canali e non poterono resistere alla veemenza del vento. Ed andarono a basso, sino al suolo. E benché continuasse il vento, non perciò cessarono le cannonate colle bombe dal mattino sino la sera, continuamente, con gettarsi molte pietre nelle trinciere d’ambe le parti nella notte, col fuoco incessante delli schioppi. Per lo che restò morto un soldato tedesco e sei feriti della medema nazione.

25 febbraio 1719
25 febraro. Con una palla di cannone disparata nel fortino della Tonnara restarono uccisi tre marinari paesani, nominati [segue lacuna nella copia, ndr] ed un soldato tudesco nella Marina, restrovandosi l’uno poco distante dall’altri.
La penuria del legname necessario tra l’altro alla panificazione militare spinge Wallis a proporre - senza successo - di prelevarlo dai tetti di ulteriori fabbricati da abbattere È così grande la carestia di legna tanto per li forni a far pane, come per cucinare per servizio delle truppe e loro officiali, che furono publicamente sfasciate e rotte più barche d’alcuni particolari paesani dalli soldati tedeschi. E gli poveri padroni non puoterono nemeno querelarsi. Tanto che ritrovandosi nella Marina li medemi, in loro presenza si romperono dette barche. Anzi accrescendo la penuria di legna, furono chiamati dal signor Generale Zumjungen, comandante tudesco, tutti li signori giurati di questa, alli quali si propose dal Generale Vallais, in presenza del signor Zumjunghen, che per farsi il pane per dette truppe necessitavano li legna, perloché sarebbe bene che si demolissero tutte quelle case che non apportavano tanto nocumento alli cittadini per essere picciole e di puoco prezzo, puotendo essi signori giurati far la diligenza per togliersi il meno danno. Al che risposero che, prendendo tal arbitrio, s’avrebbero attaccato molte murmurazioni delli cittadini e che Sua Eccellenza puoteva disponere a suo talento come per il passato avea adoprato. E con molte sommissioni fatte dalli Giurati si terminò il congresso, discorrendosi altre materie. Bensì il Vallais insisteva con molto impegno che s’effettuasse il demolimento proposto. E benché al medemo signor generale comandante s’avesse fatto conoscere che demolendosi una casa - ancorché piccolissima - non si puoteva abbrucciare duo o tre volte il forno per panizzarsi, ed avrebbe seguito il grave interesse del padrone almeno di onze venti, non si puotè placare questo generale, asserendo esser molto servizio del Re che le truppe non patissero in cosa alcuna. Alla fine, conoscendosi dalli signori giurati l’intolerabile ostinazione del Vallais, per minor danno delli poveri cittadini si pregò al medemo signor Vallais che s’avessero ricercato per tutta la città nelle case di tutti gli paesani, affinché si rompessero tutte le casse, armari, scanni ed altre sorti di legnami per consignarsi alla forni per manufattura del pane di monizione per servizio delle truppe. Ma alla fine, alle reiterate suppliche delli sudetti spettabili giurati fatte al detto signor generale Zumjungen per esser umanissimo, non s’eseguì la proposizione del Vallais, con tutto che fosse stato inesorabile nel dirupamento delle dette case, né di farsi l’inquisizione nelle case sudette per togliersi qualunque specie di legname, ancorché lavorata in addobbo di esse case. Magiormente che per bontà divina arrivarono nel Capo molte barchette piene di fascine e legnami da Calabria, per lo che furono detti forni provisti. E con tutta questa provisione non furono esentate tutte quelle botti che si ritrovavano nelli magazeni delli poveri citadini, poiché tutte furono rotte e parte consumata dalli soldati, e parte per la cocina degli officiali. Anzi, quelle radici di tutti gli alberi li quali da più tempo si ritrovavano tagliate per fascine e per legna, così nel Capo come in città, a forza di zapponi ed altri instrumenti dell’intutto furono scavate e prese da detti soldati. Ed infine essi soldati a ciurme si conferirono nel Capo, tagliando pure le siepi delli lochi. E di ciò non contenti, col pericolo evidente delle loro vite, ascendevano gli più inaccessibili luoghi montuosi con dirupi (avendo successo in alcuni il precipitarsi con aver rimasto uccisi) solo per raccoglier erbe con le radici di assenzio, che in abbondanza nel sudetto Capo si producono nelle cime de’ monti.
Un altro disertore Venne in questo giorno in città un desertore spagnuolo, non raccontò cosa alcuna di sodezza. Vuol passare in Napoli.
Zuffa tra ambulanti nel piazzale posto dirimpetto la chiesa del SS. Rosario Tra l’altre bombe gettate in città, due creparono sopra il convento di San Domenico e quantità di pezzi delle medeme diedero nel piano. E con tutto che si ritrovassero migliara di persone, per esservi il più principale mercato d’ogni vivere, come pure la frequenza dell’officiali e soldati, per esservi nel convento sudetto albergato il signor generale Zumjungen con la corte, non seguì alcun danno. Anzi, e gli soldati, e gli Napolitani fecero tra di loro questione per chi doveva conseguire detti pezzi di bombe. Ed una femina tudesca, quale stava vendendo alcuna sorte di viveri, procurò averne un pezzo cascato in terra innanzi della medema, ma le fu tolta da un napolitano che pure da vicino vendeva, per onde concorse moltitudine di persone: il napolitano soggiacette alle pugnate della tudesca e doppo [fu] posto in carcere nel detto convento per poche ore, col pagamento delle spese per ricrearsi la guardia tedesca.
Distrutta una grossa barca Pure fu fatta in pezzi una barca di capacità di salme trecento (qual era di Diego Maiolino) dalli soldati per farsi legna a loro servizio. E meno si potè aprir la bocca per non soggiacere ad altro peggio inconveniente.
Consiglio nel convento di San Domenico tra gli alti ufficiali austriaci, alla presenza del comandante Missegla La sera sul tardi in città vi fu molto bisbiglio per causa che d’ordine del signor generale Zumjungen, comandante, furono convocati nel convento di San Domenico (ove resideva) tutti gli generali tudeschi con altri officiali maggiori, nelli quali intervenne il signor comandante della Piazza (bensì col solo grado) Monsignor Missegla. E si fece assemblea sino a notte. Non si puotè penetrare cosa alcuna, asserendosi per presupposizione che l’arme cesaree volevano il dominio per il Regno con l’esclusiva delli Piemontesi e Savojardi.

26 febbraio 1719
Armistizio con scambio di prigionieri La notte antecedente furono disparate migliara di scopettate nelle trinciere d’ambe le parti, col gettito di più bombe e di pietre, restando molti soldati uccisi e molti feriti. E nella mattina sin ad ore sedici non cessò il fuoco delli cannoni con quantità di bombe disparate contro la città. E doppo seguì l’armestizio nelle trinciere che persistette per insino ad ore 23, avendosi condotto dal campo spagnuolo li prigionieri tudeschi e di Savoja e di Piemonte con alcune barche partite dalla ripa del mare per la parte possessa dalli Spagnuoli, con aversi disbarcato in questa Marina sotto il Bastione di San Gennaro, fra quali vi furono il maggiore del Reggimento di Salluzio di Piemonte il cavalier Baroli, il capitan Bolgaro de’ focillieri, Monsù Andreotti capitano de’ Granatieri di Salluzio. Il sudetto capitan Bolgaro restò prigioniero in Tavormina e gli altri nel giorno della Battaglia seguita fori le nostre porte con altri officiali e soldati. E molti altri si stavano aspettando per il giorno seguente assieme col Monsignor Valati, tenente di focilieri di Piemonte, ed altri tudeschi che si retrovavano nella città di Messina.

27 febbraio 1719
Fuga dal campo spagnolo di dieci pescatori A 27 febraro. La notte trascorsa se ne fuggirono dal campo spagnuolo sopra una barca, qual era nella ripa del mare di dietro, diece marinari paesani nomati Placido Buccafusca alias Capitanello, Antonino Pirajno, Giuseppe Crifò, Giuseppe Maria, Cristofaro Maiorana, Lorenzo Maiorana, Antonino di Napoli, Saverio Crisafulli, Antonio Falcone e Domenico Vitali. Avendo disbarcato nel Capo e venuti in città per lavoro col signor Reiungen, tedesco. Riferirono avere stato da molto tempo in detto campo per aversi tolto la communicazione, travagliando in mare ed in terra per procacciarsi il vivere. Ed avuta l’occasione di poter fuggire colla detta barca, rischiarono la vita e li riuscì il bramato intento senza alcun danno.
Il campo spagnolo rifornito di viveri Come pure che nella Piana gli Spagnuoli non avevano bisogno di viveri, per esserli stato condotto quasi di tutto il Regno qualunque specie di comestibili. Ed inoltre il vivere era di prezzo mediocre. Di più che correvano gravissime infermità, seguendo la morte di più soldati con molti officiali. E data la loro relazione furono condotti in prigione, ove, trattenuti poche ore, ebbero la libertà.
Fuga di un popolano Li giorni scorsi s’avea partito da questa furtivamente Giuseppe Murina, plebeo paesano, non con altro motivo, solo per aversi contrastato con altro della sua condizione. E per timore di non andar carcerato dalla giustizia. Ed in detto giorno retornò dal campo, ed essendo stato scoperto in città fu preso innanzi la chiesa di Giesù e Maria la Vecchia, con esser posto in prigione. Ciò derivò per esser una persona non troppo riguardata da buon occhio, atteso le sue azzioni un puoco indiscrete.
Bomba spagnola distrugge la casa dei Parra in Marina Vi furono gettate nella città molte bombe dalli fortini delli Spagnuoli, specialmente nella parte inferiore d’essa città, col disfacimento di molte case. Ed una entrò nella casa ove abitavano li figli e moglie di Don Blasio Parra, nella Marina. E consumata tutta la casa, non furono offesi li sudetti, benché avessero rimasto, oltre lo spavento avuto, tutti incalcinati.
Il fuoco delli cannoni disparati contro la città fu molto fervente e continuò per insino la sera, non tralasciandosi dalli nostri bastioni e fortini eseguire l’istesso. E li cittadini restarono nonché storditi per il rimbombo, pure spaventati col timore della morte, non badandosi più né alle case, né alli mobili che tenevano. Poiché infallibilmente toccata una casa o da bomba o da palla di cannone, restava dell’intutto demolita, particolarmente quelle che non erano abitate, rubbandosi tutto il mobile dalli soldati.
Mortari sparano bombe e pietre sulle trincee: i soldati morti seppelliti nella terra in prossimità delle stesse trincee La notte doppo si dispararono molti e molti mortari di bombe e di pietre nelle trinciere, per molte ore interpellatamente s’intesero più migliara di scopettate, osservandosi distintamente il fuoco dalla città per la vicinanza che vi era. Per lo che restarono molti soldati uccisi, li quali conseguivano il sepolcro nella sabbia, vicino dette trinciere. E molti feriti che si conducevano in città per esser medicati, ma pochi erano quei che si guarivano.

28 febbraio 1719
Due disertori del battaglione Cordova forniscono notizie sul campo spagnolo composto da 28 reggimenti 28 febraro. Desertarono dal campo spagnolo due soldati di Cordova. Riferirono esservi nel campo 28 regimenti intieri e tutti soldati guagliardi, con aver venuto da Palermo un regimento, con aspettarsene altri due. Che nel campo vi era abbondanza di viveri e molta provisione di guerra.
Demolito dalle artiglierie un fabbricato in prossimità del Palazzo del Governatore. Vandalizzato ulteriormente dai soldati che ne prelevarono tutto il legname possibile Continua il fuoco di cannoni, bombe e schioppi, col gettito di molte pietre nelle trinciere. E sempre restavano morti alcuni soldati ed altri feriti. Tra l’altre bombe una entrò nella casa solerata di Antonino Imbruglia sotto il Palazzo del Governadore. E per fortuna non si ritrovava persona alcuna, bensì consumata in parte dalla detta bomba, fra poche ore, non comparvero né le porte, né le fenestre, né il solaro, né il tetto. Solamente li canali in pezzi gettati sul suolo e le mura pure demolite per aver più commodità gli soldati - e senza pericolo alcuno - di prendersi tutti li legna.
Giungono da Messina imbarcazioni cariche di prigionieri piemontesi ed austriaci, grazie all’armistizio concluso in precedenza Vennero da Messina tre felughe, una di detta città e l’altre due padronizzate da Padron Vincenzo Maiolino e Padron Giacomo Bonaccorso di questa città, quali conducevano molti soldati tudeschi ed italiani con molti infermi, quali tutti erano stati prigionieri. E per il cambio li giorni scorsi furono rimessi in questa, con avere disbarcato in questa Marina. E li sudetti due padroni paesani chiesero al signor generale Zumjungen, comandante, che puotessero condur seco molte femine loro parenti. Ed avuto il permesso la sera  ben tardi retornarono in Messina, numerandosi tra l’altre femine Francesca Pitretta, Grazia Chillemi sua nuora ed altre. In tutto al numero di ventitre.


1 marzo 1719
Due disertori francesi fuggiti dal campo spagnolo Primo marzo. Comparvero su l’alba due soldati francesi fuggiti la notte trascorsa dal campo spagnuolo. Non riferirono cosa di conseguenza, volevano passar in Napoli, ove avrebbero preso le loro resoluzioni.
Fu continuo il fuoco d’una parte e l’altra, così di cannoni e bombe, come di pietre. Col disparo di molte scopettate nelle trinciere, restando tutta la città devastata e molti uccisi in dette trinciere. Ed altri feriti.

2 marzo 1719
Bomba danneggia abitazione nel quartiere di S. Giacomo, facendo volare la parrucca all’inquilino A due marzo. Tra l’altre bombe disparate nella città, una diede in casa del signor Don Saverio Siragusa, nel quartiero di San Giacomo, nella quale abitava il signor Don Giuseppe Picciolo con la moglie, figli e servitù, avendosi retirato il Siragosa con la fameglia nel Capo per il timore. Ed entrata la bomba dal tetto, quello tutto fracassò. E cadendo in una stanza, ove si retrovava la signora Maria, moglie del Picciolo, restò questa (benché tramortita) senza danno. Attraversando la detta bomba nella medema stanza, discese per la scala e, ruppendo quello che se l’incontrava, entrò in una stanza di sotto, nella quale esso di Picciolo stava giuocando a carti col signor Don Giuseppe Parra ed altri. E rottasi in pezzi la bomba, fracassò così la porta d’innanzi, come quella da dietro della medema casa, senza danno alcuno delli sudetti quattro che giuocavano. Solamente al Parra, per il vento della bomba, fu tolta la pilucca [parrucca, ndr] dalla testa, che pure s’intenerì e ciò si notò per un portento.
Molti soldati furono uccisi ed altri feriti nelle trinciere, non tanto per le bombe disparate dalli Spagnuoli, quanto per le pietre gettate, specialmente nella notte, e per le molte scopettate, stante che molte battuglie di soldati sono astretti col loro capo circuire le dette trinciere, facendo la guardia in ogni notte.
La batteria del bastione di S. Maria e la gara dei giovani cannonieri per centrare il campo spagnolo e le trincee nemiche Nel Bastione di Santa Maria nella Cittadella vi sono stati cinque cannoni da battere molto grossi di libre sessanta l’uno e di continuo si disparavano, tanto che era molto grave il rimbombo, per lo che tutte le case si sconquassarono. Anzi, per il molto fuoco allo spesso, restarono due dell’intutto inutili a dispararsi, avendosi sfoconati; e l’altri tre, benché un puoco pure lunghi nelli foconi, restarono consegnati fra l’altri cannonieri a Don Francesco Parra e Don Sebastiano Tappia, pure cannonieri. Questi, per esser giovanetti, con molto brio volsero ogn’uno il suo cannone per osservare il tiro che faceva nel campo. Anzi andavano a gara per meglio colpire al luogo deputato nel campo nemico e nelle trinciere e fortini. Onde, avuta la licenza per disparare, non cessavano dalla mattina sino la sera. Il che recava sovente nocumento all’abitanti convicini per restare storditi. Oltra che tutte quelle case che non furono demolite dalli cannoni e bombe gettate dalli Spagnuoli restarono sconquassate ed aperte dal rimbombo di detti cannoni. Invero che apportava un tormento insoffribile quando che si sapeva per certo che detti cannoni non molto offendevano al nemico, come riferivano gli desertori. Al contrario bensì delli cannoni che esistevano nelli fortini di San Francesco e di San Rocco, li quali molto danneggiavano detto nemico.

3 marzo 1719
Ulteriore armistizio in mezzo alle trincee (come di consueto) per scambio di prigionieri A 3 marzo. In questo giorno all’alba principiò il bastione di Santa Maria il disparo delli suoi cannoni, continuando sin al Vespro e sussequentemente fu seguito dalli altri fortini. Perloché dalli Spagnuoli s’effettuò l’istesso, tanto che in città non vi fu in detto spazio di tempo scintilla di quiete. Inoltre, intercalatamente si gettavano nella città molte bombe, sempre con il demolimento di molte case.
Da Vespro sino ad ore 23 seguì l’armestizio, avendosi radonato officiali d’una parte e l’altra, essendovi dalla nostra parte il signor comandante Missegla. Si fece per il cambio delli soldati prigionieri d’ambedue gli eserciti, volendo detto signor di Missegla, comandante, che nel cambio fosse incluso il signor Don Guglielmo Colonna, il quale dal principio dell’imbrocco della città si retrovava prigioniero in Messina nel Castello di Mattagriffone, come si scrisse. E la sera, finita dagli deputati il trattato nel mezzo delle trinciere (come al solito), di nuovo s’intese il disparo delli cannoni col gettito di bombe e si gettarono più pietre dell’altri notti. Anzi, vi fu un fuoco molto continuo di più ore di scopettate, tanto che si vidde sino la mattina seguente, per lo che morirono uccisi molti soldati con altri feriti, tra’ quali un capitano tudesco, che era di guardia, restò gravemente ferito: e di subito condotto in città per medicarsi, dicendo di esser mortale la ferita. Ed un tenente della medema nazione fu ucciso con una palla di schioppo ferito nel petto, trapassato d’una parte e l’altra. E di più il capitano ferito morì il giorno seguente.

4 marzo 1719
A 4 marzo. Il fuoco delli cannoni continuava gagliardamente e col disparo di mortari di bombe e, nella notte, di pietre, oltre la quantità delle scopettate nelle trinciere. Per lo che le case sono state tutte fracassate, parte in tutto e parte in alcune mura. E di più restarono alcuni soldati uccisi e molti feriti in dette trinciere.
Un disertore irlandese comunica la presenza di 18.000 militari nel campo spagnolo Comparve ben mattino un desertore dal campo spagnuolo. Era irlandese: riferì esservi in detto campo da 18mila soldati.
Bomba cade accanto al marchese d’Andorno di ritorno nella cittadella fortificata Una bomba diede nel piano di San Domenico sotto la porta della Cittadella, in mezzo d’alcuni cavalli, sopra de’ quali si retrovavano il signor Generale Marchese d’Andorno di Piemonte con altri officiali e della sua nazione e tudeschi. Li quali, avendo stato in detto convento al corteggio del signor generale Zumiunghen, mentre si retiravano nella Cittadella la bomba diede in mezzo delli cavalli, con avere crepato nel suolo e con aver alcuni pezzi inalzato di nuovo nell’aria. E pure nessuno delli sudetti restò offeso. Al che si notò per un portento, tanto per non aver sortito alcun danno, come per avere restato li sudetti a cavallo. Bensì questi per il timore tutti si disordinarono, fuggendo chi ad una parte e chi ad un’altra. Ed il marchese Andorno si demostrò buon cavalcante, poiché la bomba cascò due in tre passi distante da esso.
Carestia Molto era scarso il vivere in città tanto per le truppe, come per li cittadini, comprandosi le vettovaglie di prezzo molto esorbitante. Oltre che quelle si retrovavano erano di malissima qualità ed era necessario comprarle per non morirsi di fame.

5 marzo 1719
A 5 marzo. Non cessò il fuoco d’una parte e l’altra, dalla mattina sino alla sera, col disparo delli cannoni e di mortari di bombe e - la notte - di pietre nelle trinciere. Con aver seguito la morte di tre soldati ed otto feriti.
Altri due disertori La notte antecedente disertarono dal campo spagnuolo un sargento ed un caporale aragonesi, li quali si retrovavano di battuglia nelle trinciere. E presero la fuga nascostamente, avendoli seguita senza alcun danno l’impresa tentata.
Una bomba colpisce casa Muscianisi in Marina Si disparò una bomba dal campo nemico, diede nella casa di Giovanni Muscianisi nella Marina, vicino il bastione di San Gennaro. Perloché tutta detta casa si fracassò con la perdita di molto mobile.
Terminato un nuovo forte in contrada Albero In questo giorno si vidde nell’alba completo il forte nella contrata dell’Albero con una batteria di 12 cannoni. Il quale da più giorni innanzi s’avea principiato a formarsi. Onde sovragiunse all’afflitta città questo altro flagello.

6 marzo 1719
Giungono al Capo imbarcazioni cariche, tra l’altro, di viveri e legna A 6 marzo. Comparvero da lontano molte e molte imbarcazioni sopra Strongoli e nella Calabria. E la sera ben tardi approdarono le tartane con alcune felughe nel Capo, le quali tutte condussero provisioni di viveri per le truppe e parte per li poveri citadini. E giunsero in tempo, che la città era in molta penuria e carestia d’ogni cosa. Inoltre vennero molte fascine per fabbricarsi il pane e molti palaccioni di legna per farsi trinciere ed altri. Perloché con tutto che avessero stati privi li cittadini di tutti li botti che tenevano nella case e magazeni per servizio delli forni, come pure della legname delle case demolite, nulladimeno sempre s’insiste per diruparsi dell’altre, volendo in ogni modo che in tutto non apparesse vestiggio alcuno di fabriche. Specialmente nella parte inferiore della medema città. Per onde si conobbe che le preghiere giustificate e ragioni addotte dalli principali cittadini agli officiali magiori per non demolirsi le case non furono intese, non per poca intelligenza delli comandanti, ma per la divina permissione, la quale volse, per li gravi misfatti d’un popolo molto dato all’empietà, castigarlo. Permettendo che nemeno si conoscesse un apparente assordo che si pratticava dalli officiali contro gli poveri cittadini, tanto nel demolirsi le case, come in qualsivoglia altra cosa che avrebbe possuto suffragare al beneficio commune della città.
E con tutte queste gravi turbolenze, in questo giorno non si puoterono numerare le cannonate disparate e bombe gettate nella città dalli Spagnuoli, servendoli di bersaglio la Cittadella ed il Convento di San Domenico, dove resideva il signor generale Zumjunghen, ed altre parti speciali, nelle quali s’avea notizia che albergavano officiali maggiori e d’alcun carato.
Si spara così tanto che si pensa ad una battaglia La notte poscia s’attendeva al disparo delli mortari di bombe e pietre nelle trinciere, anzi da tutti gli cittadini si stiede con molta pertubazione sino al mattino, poiché fu così frequente e continuo il disparo delli schioppi che si credette esservi una battaglia generale. Magiormente che oltre gli officiali, quali si retrovavano nelle trinciere, quasi tutti li signori generali assieme col signor comandante Zumjungen e col seguito di più e più truppe concorsero in detta notte nelle trinciere, con aversi trattenuto sin all’alba. Perloché si può considerare come passavano gli poveri abitanti per il timore che li sovraprese.
Bomba centra il Palazzo Baeli (oggi Proto) in piazza del Carmine Nel medemo giorno una bomba, fra l’altre, crepò nel palazzo grande di Baeli, nel piano del Carmine. E s’osservò che si fracassarono molte camere, con l’abbrugiamento di molto mobile di qualche considerazione.

7 marzo 1719
Giungono dalla Calabria altre imbarcazioni con viveri e legna A 7 marzo. Approdarono in questo Capo quaranta tartane con alcune felughe venute da Santa Eufemia nella Calabria, cariche di vettovaglie con molti legna e fascine. Perloché la città ebbe alcun sollievo, potendosi sostentare e non morir di fame gli poveri cittadini. Con tutto che ogni cosa s’avesse comprato a prezzi molto rigorosi. Ed inoltre s’ottenne qualche triegua per non diruparsi più case, né ricercarci né barche, né altre botti e massaritie di legname per farsi il pane, per averne venuto in abbondanza.
Giunge notizie dell’imminente arrivo di truppe austriache da Napoli, sempre che le avverse condizioni meteorologiche lo permettano Si raccontò dalli padroni e marinari di dette barche esservi state veridiche notizie che per il primo del sudetto mese di marzo si dovevano retrovare in Napoli molte navi ed altre imbarcazioni per lo trasporto in questa città di quantità di truppe tudesche. Bensì s’asseriva che ciò non avesse seguito per li cattivi tempi nel mare occorsi. Ed un cappellano d’una tartana corsara, quale pure venne in detto giorno, raccontò che tutte l’imbarcazioni, che si retrovavano nel mare viaggiando, patirono molto danno, tanto che alcune naufragarono per le molte borrasche e venti validi tra sé contrarij occorsi. Con aversi attribuito a miracolo che tutte non s’avessero perso nel pelago. E molto si temeva che una tartana non si avesse perduto nel mare, per non aversi avuto notizia di essa da più giorni, quando che da più tempo doveva esser ritrovata in questa.
Trincee coperte con tavoloni per salvaguardare i soldati Continuarono gagliardamente le bombe in città col fuoco incessante delli cannoni. E due bombe, fra l’altre, diedero sopra il convento di San Domenico e non fecero danno alcuno. E la notte fu continuo il disparo di quantità di schioppi nelle trinciere, con molti mortari di pietre e bombe, perloché necessariamente ha seguito la morte di cinque soldati per essere stati uccisi in dette trinciere ed altri feriti. E il danno ordinariamente ha seguito nelle nostre trinciere, poiché gli Spagnuoli per rimaner più cautelati posero quantità di tavoloni. Il che non s’ha fatto dalli Tudeschi. Bensì doppo s’effettuò. Oltreché le nostre truppe o per aver più animo, o per non temer la morte, specialmente gli Tudeschi, arrischiavano più nelle battuglie ove si retrovano di guardia.
Circolano voci di alleanze A bocca piena da tutti gli officiali, così tedeschi come dell’altri, si pubblicava che colla Cerarea e Catolica Maestà s’abbiano collegati e gli Irlandesi e gli Portoghesi. Concorrendo tutti assieme con gli Inglesi contro la Spagna. Si stava attendendo l’esito per osservarsi se la relazione divolgata fosse stata veridica, rassembrando un secolo un atomo di tempo alli poveri cittadini, affinché fossero liberati da cossì atroci afflizioni.
Muore bimbo durante il crollo di una casa, causato dal prelevamento d’un pezzo di legno conficcato nelle murature Si dirupò in questo giorno la casa del signor Ottavio Terranova, nel quartiero di Gesù e Maria la Nuova, con avere seguito la morte d’un fanciullino d’anni cinque, nomato [segue lacuna nella copia, ndr] Simulomini, figlio di mastro Domenico, con aversi pure precipitato altre case collaterali. Successe che avendosi in detto quartiero dirupato una casa (come l’altre) per ordine de’ superiori, rimasero in quella solamente le mura in piede. E per non aversi badato restò in un muro di essa un pezzo di legno pendente. Alcuni sodalti, ingordi di conseguire detto legno, fecero leva con molti ordigni per far precipitare detto muro e con la forza adoprata venne a terra, tanto che sudetta casa tirò l’altre collaterali. Perloché morì quel povero figliuolo ed un altro soldato tedesco pure restò ucciso sotto le pietre. Ed altri soldati furono feriti malamente, non per altro che per guadagnare un pezzo di legno che non si poteva vendere più di grana sei.
Consiglio nel convento di S. Domenico tra i vertici militari austro-piemontesi Si vedde in questo giorno un corteggio così superbo da quasi tutti gli officiali tudeschi e di Savoia, e di Piemonte, al signor generale Zumjungen nel convento di San Domenico, dove questo albervaga, tanto che fu trattenuto per molte hore con aversi sospeso per detto tempo il giuoco che giornalmente si esercitava ed era frequentato di continuo - cossì in publico nella corte, come in camera sovente - di dadi. Alle volte di corte si penetrò solamente esservi state commissioni speciali della Maestà Cesarea e Catolica, ma non si pubblicarono per aver così dettato la ragione e politica di Stato.

8 marzo 1719
Riconversione di un soldato veneto A 8 marzo. Da più giorni s’infermò un soldato tedesco nell’ospedale, e ritrovandosi molto grave per il morbo col pericolo della vita fece chiamare il Padre lettore fra Errigo Passalacqua, domenicano, quale conferitosi dall’infermo, questo li disse che domandava salutare remedio per non dannarsi, poiché avea stato nella religione con aver fatto la professione. Bensì non avea asceso agli ordini sacri e che era della provincia di Venezia. Ed infine voleva reconciliarsi, non volendo perder l’anima per voler morire da catolico. Quello l’avesse consultato il Padre religioso non si penetrò per essere stato negozio di coscienza. Sopra che si deve riflettere che s’avesse compiaciuta Sua Maestà che in così copiose truppe di diverse nazioni s’avesse solamente ritrovato il sudetto soldato apostata e non tanti e tanti eretici di differenti sette come meglio s’esporrà.
Morte d’un soldato austriaco ferito in trincea A Vespro in detto giorno fu portato in questa città un soldato tedesco spirante per esserli stata data una scopettata dalli Spagnoli, retrovandosi di guardia nelle trinciere. E con una palla fu ferito nel collo, con averli passato nella gola. Ed il povero fra poche ore morì arrabbiato senza aver possuto profferire parola, solamente gettando voci confuse con urli e senza sentimento alcuno. Per certo che recava tal veduta nonhé orrore, una compassione lacrimevole pure agli nemici ancorché suoi particolari.
Nomine nell’esercito piemontese S’intese pubblicamente che il signor Baroli, maggiore del Regimento di Salluzio, fu eletto tenente colonello del Regimento de’ Focilieri in loco del fu conte Lignaville. Come pure il signor cavaliere Castagnoli, capitano del detto Regimento di Salluzio, doveva eligersi per maggiore, ma del primo s’effettuò la carica ed il secondo restò escluso, avendosi doppo alcuni giorni eletto altro officiale nomato signor Pietro [segue lacuna nella copia, ndr].
Tragitto anomalo d’una bomba sparata da contrada Albero Si vidde la sera un portento. Disparata una bomba dal forte delli Spagnuoli nuovamente fabricato nella contrata dell’Albero diede nel piano della chiesa di San Rocco, ove rottasi, la metà intiera recise un povero soldato tudesco che si retrovava giacente in terra, in parte sequestrata dietro un muro di detta chiesa, e doppo metà di detta bomba sospesa in aria corse sino al convento di San Domenico e, precipitata nel suolo, ruppe una gamba ad altro soldato tudesco.
Partono dal Capo imbarcazioni al servizio degli austriaci  Partirono la sera tutte le tartane e felughe, che erano approdate nel Capo, verso Calabria e Napoli, scortate tutte da molte navi inglesi per il timore delle barche corsare delli nemici spagnuoli, le quali continuamente andavano predando per la costa di Calabria, azzardando sovente procedere sino al Capo di questa.












9 marzo 1719
Un disertore spagnolo informa gli Austriaci A 9 marzo. Ben tardi venne un desertore dal campo spagnuolo di nazione di Granata. Raccontò molte dicerie, fra l’altre esservi in quel campo da 14 in 15 mila soldati scielti, oltre l’infermi in copiosa quantità. E di più ritrovarsi abbondanza di tutti li viveri ed a buono prezzo.
Nelle trinciere morirono sei soldati uccisi da palle di moschetti e da pietre disparate, oltre la quantità delli feriti e stroppiati. 
Il fuoco delli cannoni disparati e bombe gettate d’una parte e l’altra seguì in molto numero. E benché non avesse seguito alcun danno nelli paesani, nondimeno fino a questo giorno non vi è stato né quartiero, né strada, né vicolo in città che avessero stato esenti a non patire alcun danno - o più o meno - e di persone e di case.
Viveri giungono dalla Calabria. Ma la città è in perenne penuria di commestibili Pure vennero da Calabria alcune tartane con molte felughe con aver condotto alcuni viveri, così per servizio delle truppe a nome regio, come pure a conto de’ particolari. E ciò nonostante sempre la città si retrovava in molta carestia, non puotendo in nessun modo esser sufficienti gli viveri condotti da Calabria e di Napoli per tanta moltitudine di persone.

10 marzo 1719
Cinque disertori (quattro francesi ed uno spagnolo) giungono dal campo spagnolo. Si tace il numero dei morti nelle trincee per non «intiepidire» le truppe A 10 marzo. Desertarono dal campo spagnuolo quattro soldati francesi. Non riferirono cosa alcuna di conseguenza.
Non cessarono le cannonate, bombe e mortari di pietre dalla mattina sino alla sera d’ambedue le parti. Specialmente la notte nelle trinciere fu continuo il fuoco delli schioppi, col gettito di più mortari di pietre, onde restavano molti soldati morti ed altri feriti. E ciò non si pubblicava per non intepidirsi le truppe. Sussequentemente desertò dal campo spagnuolo un sargento di Granata. Non riferì cosa alcuna di solo. Vuolse andarsene in Napoli, ove asseriva che avrebbe preso alcuna deliberazione.

11 marzo 1719
Fuga dal campo spagnolo con la barca di un milazzese bloccato nella Piana dal periodo delle vendemmie A 11 marzo. Comparvero nove persone paesane ed una di Messina, le quali la notte scorsa se ne fuggirono dal campo spagnuolo con una barchetta di maestro Antonino Catanzaro, al quale la rubbarono furtivamente per aversi retrovato il sudetto di Catanzaro in detto campo da quel tempo che seguì la vendemia, non avendo possuto retornare in città. Le sudette persone si nominano maestro Onofrio Composto di Stefano, Giuseppe Anello, Giovanni La Rosa [segue lacuna nella copia, ndr] e quello di Messina maestro Andrea Giuffré. E per retrovarsi detta barchetta nella ripa del mare di Ponente li sudetti concertati azzardarono ed approdarono nel Capo, da dove venuti innanzi il signor generale Zumjunghen, e dal medemo interrogati sopra gli affari spagnuoli, furono rimessi liberamente.  
Morirono la notte scorsa molti soldati tudeschi, uccisi con palle di schioppi e con pietre gettate nelle trinciere. E molti restarono feriti. 
Due bombe colpiscono la cittadella fortificata Il fuoco del cannone d’ambe le parti col disparo delle bombe fu continuo come al solito senza intermissione di tempo, con molto spavento delli cittadini, temendo in ogni momento di perder la vita. E, tra l’altre bombe, due arrivarono per [segue parola di ardua trascrizione, ndr] dentro la Cittadella, una nel piano della Matrice, la quale non crepò, e l’altra in casa del signor Don Antonino Tappia e, crepata, quella fracassò in più parti.
I capitani milazzesi Farina e Piraino trasportano via mare prigionieri dal campo spagnolo La sera giunsero due felughe milazzesi comandate da Padron Francesco Farina e Padron Francesco Piraino, le quali vennero dalla ripa del mare dominata dalli Spagnuoli. E disbarcarono in questa Marina molti altri prigionieri ed ottennero detti padroni, con li marinari, di puoter condurre seco le loro moglie ed altre loro congionte. E partirono l’istessa sera ben tardi per detta ripa da dove avevano partito.

12 marzo 1719
Notizie dal campo spagnolo grazie a tre disertori  12 marzo La notte precedente vennero tre desertori dal campo spagnuolo, due di Siviglia e l’altro francese. Tutti e tre granatieri del regimento di Vallona. Riferirono ritrovarsi nel campo molta abbondanza di viveri e di baratto e ben mercati. E ritrovarsi da 14 in 15 mila soldati scielti, oltre gli infermi.
Il forte dell’Albero danneggia la città. Morti e feriti nelle trincee Il fortino fatto nella contrata dell’Albero nell’alba principiò a disparare molti cannoni e seguì un danno notabile nella città per causa delle palle gettate. Vi furono la notte precedente otto soldati morti e tre feriti per causa delle palle di scopettate e di pietre gettate nelle trinciere.
Partenza per la Spagna di Don José Patiño y Rosales Partirono la medema notte da Lipari due galere spagnuole, sopra le quali si retrovava il signor generale Patigno per condursi nella Spagna per negozij di quel regnante, passando nel golfo per aversi giorni a dietro condotto in Lipari dal campo con dette felughe, da dove si fece la partenza con dette galere.

13 marzo 1719
Ferito nelle trincee austro-piemontesi il capitano Sartorio del Reggimento Fucilieri Restarono alcuni soldati morti nelle trinciere con molti feriti per il continuo fuoco delle scopettate, oltre delli mortari di pietre disparate, restando pure gravemente ferito Monsignor Sartorio, capitano del Regimento de’ Focillieri di Savoia, il quale si retrovava di guardia in dette trinciere. Poiché una palla di cannone disparata nel campo spagnuolo diede nell’arena in dette trinciere e colle pietre scagliate il sudetto capitano restò ferito.